Su Cristina Campo e le sue ottanta poetesse: ritrovate?

di © Francesca Favaro

Maestra nel riserbo, che seppe interpretare sino a una sorta di volontario distacco dal mondo, Cristina Campo[1] – poetessa, traduttrice, saggista – ci ha lasciato, nel novero delle sue varie, sparse carte, anche abbozzi di progetti rimasti incompiuti.

Tale – un disegno irrealizzato – è il Libro delle ottanta poetesse, silloge che Cristina avrebbe voluto dedicata all’«incomparabile forza e semplicità della voce femminile»,[2] còlta nelle opere di autrici vissute in epoche e sotto cieli diversissimi (dal VII secolo a.C. della greca Saffo sino all’età contemporanea) ma accomunate, ben oltre l’eccellenza, dall’irrinunciabilità della loro parola poetica.

Il manoscritto della raccolta, cui Cristina lavorava nel 1953 per l’editore Casini, andò perduto, e intorno al libro aleggia dunque, quasi a proteggerlo, un’aura di mistero.[3] Rimangono, tuttavia, i nomi delle autrici elette:

Saffo, Corinna, Erinna. Dame cinesi dal VII secolo a.C. al XVI d.C. Al Kanse. Dame giapponesi del periodo Hejan. Anna Comnena. Eloisa. Contessa de Die. Maria di Francia. Ildegarda di Bingen. Mechtilde di Magdeburgo. Santa Umiltà. Beata Angela da Foligno. Santa Caterina da Siena. Christine de Pizan. Isabella di Castiglia. Santa Teresa d’Ávila. Alessandra Macinghi Strozzi. Veronica Gambara. Vittoria Colonna. Gaspara Stampa. Madonna Celia gentildonna romana. Veronica Franco. Louise Labé. Pernette du Guillet. Catherine des Roches. Maria Stuarda. Aphra Benn. Contessa di Winchilsea. Madame de Sévigné. Madame de la Fayette. Mariana Alcoforado monaca portoghese. Suor Juana Inéz de la Cruz. «Donne di senno e di spirito del secolo XVIII». Mademoiselle Aïssé. Julie de Lespinasse. Madame de Staël. Suzette Gontard (Diotima). Elisabetta Goethe. Bettina Brentano. Karoline von Günderode. Annette von Droste-Hülshoff. Marceline Desbordes-Valmore. Eugénie de Guérin. Elisabetta Barrett Browning. Jane Austen. Charlotte, Emily e Anne Brontë. George Eliot. Christina Rossetti. Emily Dickinson. Rosalia de Castro. Gertrudis Gόmez de Avellaneda. Sofia Tolstoj. Maria Baškirceva. Anna Achmatova. Colette. Katherine Mansfield. Catherine Pozzi. Virginia Woolf. Margot Ruddock. Mary Philipps. Anna. Simone Weil.[4]

A omaggio di Cristina nel centenario della nascita e, al contempo, a monito sull’importanza della poesia (troppo spesso trascurata) nel coevo panorama editoriale, Davide Brullo e Giorgio Anelli propongono un postumo compimento del volume e cercano, con le loro Ottanta poetesse per Cristina Campo, di riempire gli spazi vuoti, corredando i nomi di Cristina con alcune pagine scelte, brevemente introdotte.

Nessuno, nemmeno i curatori del libro uscito nel 2023 per i tipi di MAGOG, è in grado di ipotizzare se e quanto questa selezione si avvicini a ciò cui pensava Cristina (che molti testi aveva inoltre tradotto di sua mano).

Di per sé lodevole, l’idea del risarcimento della lacuna[5] aperta da una delle tante capricciose vicende che accadono ai manoscritti e ai testi, nel corso del tempo, si sviluppa pertanto lungo la linea di un’impossibile ‘divinazione’: se la sequenza delle scrittrici (e la struttura del volume nel suo insieme) fedelmente segue il piano di Cristina, i contenuti risultano inevitabilmente arbitrari. Mentre raggiunge il prezioso risultato di contribuire alla diffusione di scrittrici poco (o per nulla) note, se non agli specialisti, il volume, nato dal progetto di Cristina e ispirato dalla condivisione del suo sogno: il desiderio di catturare l’indicibile purezza della poesia di donna, è costretto a confermare, nel mezzo delle molteplici presenze infine convocate tramite citazioni di versi o di prosa, una fondamentale assenza, una mancanza irreparabile: l’assenza di colei che, appunto, al progetto aveva dato vita. I versi e le prose riunite da Brullo e da Anelli, alla stregua di stelle intorno a un buco nero, circondano pertanto un perno che è un vuoto: il ‘vuoto di Cristina’.

Cristina che, consapevole del fatto che volgersi e dedicarsi alla poesia non sia altro se non un’infinita approssimazione, avrebbe probabilmente accolto quest’impresa non solo alla stregua di un omaggio a lei rivolto, bensì alla stregua di un tentativo di comprensione della sua identità, intellettuale e umana, del suo mistero, a partire da spunti da lei stessa indicati. Possiamo paragonare il volume del 2023 a un cinquecentesco Tempio di liriche costituito in onore di una donna; i componimenti che lo formano, però, non sono realizzati ex novo, bensì si basano sulla volontà, antecedente, della destinataria dell’encomio. A gettare le fondamenta del tempio a lei consacrato è dunque Cristina stessa.

Senza dubbio, il suo segreto resta intatto, insondabile (come del resto lo rimane il segreto di qualsiasi poeta, di qualsiasi uomo): l’assenza non viene riempita, la lacuna non sanata. Quasi veniamo sfiorati dal sospetto che la sorte dello smarrito dattiloscritto abbia bizzarramente assecondato e tradotto in effettiva lontananza la propensione dell’autrice a scomparire (o a fingere di scomparire, dietro una fittizia alterità).

Ciò nonostante, nello sfogliare questo nuovo libro, da Cristina suggerito, riusciamo meglio a respingere la pena e il rimpianto suscitati dall’incompiuto; forse, persino riusciamo a dire, insieme alla poetessa cinese, del IX secolo a.C., Yu Xuanji: «mi guardo intorno, ancora e ancora / oltre il muro non vedo che fiori».[6]

E, pur intorno al buco nero, il cielo rifulge di astri inaspettato.

Il libro qui.

Due letture a cura di Francesca Favaro:


[1] Nata a Bologna il 29 aprile del 1923, si spense a Roma il 10 gennaio 1977. Al nome anagrafico, Vittoria Guerrini, preferì vari pseudonimi, fra i quali quello di Cristina Campo sembra il preferito, oltre che il più fortunato. Sulla primazia del «meraviglioso senhal», risalente al 1950, si veda il saggio di Monica Farnetti Le ricongiunte, in Cristina Campo, Sotto falso nome, Milano, Adelphi, 1998, pp. 247-263, pp. 260-262: 260). La studiosa rammenta come «in un caso di pseudonimia complessa e quasi inesauribile come è quello di Cristina Campo» si assista al «lento passaggio da una pseudonimia instabile a una stabile» (p. 261). Relativamente al suo nome, Cristina dichiarò: «Il mio è uno pseudonimo… mi ricorda una persona saggia e antica che diceva: non dir mai il tuo vero nome, non dir mai la tua data di nascita e non regalare mai una tua fotografia… Da bambini si giocava a darsi dei nomi, avevo quindici anni e giocavo con una mia dolcissima amica che morì sotto la prima bomba che cadde su Firenze. Da allora questo nome dato per gioco mi diventò più caro del mio, e questo è tutto» (Chi è Cristina Campo? “Scusi, ma a chi importa?” in Ottanta poetesse per Cristina Campo, a cura di Davide Brullo e Giorgio Anelli, MAGOG, 2023, pp. 175-180: p. 176). L’amica carissima alla quale si fa qui cenno, scomparsa a diciotto anni il 25 settembre del 1945, è Anna Cavalletti (inclusa, semplicemente come Anna, fra le Ottanta poetesse).

[2] Cristina Campo, Scheda editoriale per «Il libro delle ottanta poetesse», in Eadem, Sotto falso nome, cit., pp. 193-194: 193.

[3] Cfr. Giorgio Anelli, Nota di edizione, in Ottanta poetesse per Cristina Campo, a cura di Davide Brullo e Giorgio Anelli, cit., pp. 7-13, pp. 11-12.

[4] Cristina Campo, Scheda editoriale per «Il libro delle ottanta poetesse, in Eadem, Sotto falso nome, cit., p. 194.

[5] L’horror vacui, il disagio di fronte ai silenzi della tradizione, è del resto una sorta di ossessione per gli eruditi greco-latini: spesso, pur di ‘colmare’ in parte questi vuoti, essi forzano o manipolano i dati a loro disposizione, costruendo ad esempio elaborate (e poco verosimili) sincronie fra le esistenze o le opere dei rappresentanti di un medesimo genere letterario.

[6] Si tratta dei versi finali di In visita al maestro Zhao, che è altrove, in Ottanta poetesse per Cristina Campo, p. 25.

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