Nadia Tuéni, sognatrice di Pace

di © Marilyne Bertoncini

Musarder Una rubrica bilingue (italiano/francese) a cura di Marilyne Bertoncini. Incursioni nella storia della letteratura francese, per riscoprire scrittrici francesi dimenticate. / Musarder A bilingual column (Italian/French) by Marilyne Bertoncini. Intrusions into French Literature to rediscover forgotten French women writers.

In Francia, nonostante la tendenza della storia letteraria a dimenticare le donne nelle lista degli autori notevoli, il pubblico conosce i nomi di Andrée Chedid[1] o di Vénus Khoury-Ghata[2]. D’altra parte sappiamo molto poco – troppo poco – di Nadia Tuéni, poetessa libanese che parlava anche francese, nata a Baakline, in Libano, l’8 luglio 1935 e morta a Beirut il 20 giugno 1983. Eppure la sua è una voce importante di espressione francese, che merita di riconquistare una posizione di primo piano che non ha avuto il tempo di acquisire, senza dubbio per la sua prematura scomparsa e la difficoltà di promuovere l’opera di un’assente.

Chi era Nadia Tuéni?

Mentre ancora troppo spesso immaginiamo che le poetesse scrivano soprattutto di vita privata, si può notare la notevole presenza di donne-autrici libanesi di lingua francese, durante la seconda metà del XX secolo. Queste donne scrivono raccolte poetiche che permettono loro di riappropriarci della storia del loro paese: tristemente, la guerra dimostra di essere, a livello globale, per le donne, un momento di emancipazione e di maggiore partecipazione, alla vita collettiva.

Poeta bilingue, che si avvale di un doppio background culturale, Nadia era figlia di un diplomatico e scrittore druso (musulmano) e di una madre francese. Dopo gli studi in giurisprudenza, sposa, nel 1954, Ghassan Tuéni, giornalista e deputato di Beirut (poi ambasciatore libanese all’ONU dal 1977 al 1982), con il quale condivide un impegno politico a favore del suo Paese. Hanno avuto 3 figli: Gébrane, giornalista, assassinato il 12 dicembre 2005 a Beirut; Makram, morta in un incidente d’auto, e Nayla, la cui morte all’età di sette anni colpì profondamente la poeta, portandola a comporre la sua prima raccolta, Les Textes blonds, pubblicata nel 1963. Malata di cancro divenne comunque una redattrice letteraria per il quotidiano libanese in lingua francese «Le Jour», collaborando anche con varie pubblicazioni arabe e francesi. Ha ottenuto il premio Archon-Despérouses dall’Accademia di Francia nel 1973.

Se la maggior parte delle sue pubblicazioni sono ormai inaccessibili in francese, fortunatamente ci sono 5 raccolte in formato digitale (Kindle), grazie alle quali ho scoperto l’opera di questa poetessa – della quale propongo qui brani tradotti in italiano, e invito caldamente lettrici e lettori a commentare, in attesa che siano ripubblicate le opere cartacee

Juin et les mécréantes, Seghers 1968.

Poèmes pour une histoire, Seghers 1972.

Le Rêveur de terre, Seghers 1975.

Archives sentimentales d’une guerre au Liban, Éditions Pauvert 1982.

La Terre arrêtée, raccolta postuma, Belfond 1984.

*

La lettura di questa selezione conferma non soltanto l’importanza di questa voce nel panorama letterario mondiale, ma anche l’interesse di rileggerla in questo periodo travagliato della storia europea: quando la guerra infiamma nuovamente una parte del continente che speravamo fosse preservata dopo le due guerre mondiali, la costruzione dell’Europa, la caduta del muro di Berlino; tutto ciò non ha impedito la sanguinosa disgregazione della Jugoslavia negli anni ’90, o le occupazioni militari precedenti l’attuale guerra della Russia contro l’Ucraina, che vede ancora sul nostro territorio comune la distruzione delle città, lo sfollamento delle popolazioni, i crimini e le morti di civili oltre che di soldati.

Nel road-movie Hamasat di Maroun Bagdadi, la poeta Nadia Tuéni cammina tra le rovine di un Libano in cui la storia si ripete (Photo DR)

Nadia Tuéni ha vissuto questi fatti che colpiscono duramente la nostra “ingenuità” storica, in questo Libano che non ha mai lasciato, perché si sentiva profondamente attaccata a questo “paese di confine dalle culture e influenze plurali”, secondo le parole di Louis Massignon, citate da Nathalie Morel El-Chami nella sua affascinante tesi[3].

Come sottolinea Morel El-Chami, il sostrato della poesia di Nadia Tuéni è la sua terra, questo Libano sofferente ma vivo, un Paese in divenire, che secondo lei va ricomposto attraverso la storia e la geografia, per sottolinearne le potenzialità per il futuro, e la compenetrazione delle culture a cui si riferisce – quella di cui si è detto che è stata senza dubbio la più araba dei poeti di lingua francese – lingua che difende in un paese dove i conflitti – in particolare la “Guerra dei 6 giorni” del 1967 – fanno della lingua scelta una lingua non grata perché appartiene a un paese che sostiene le posizioni nemiche, ma che lei difende contro tutto e tutti. Vuole aprire le frontiere e sostiene l’idea che l’adozione del linguaggio dell’altro aggiunga una dimensione e crei solidarietà tra gli individui, costruendo i ponti necessari per la comunicazione.

Visceralmente attaccata alla sua terra lacerata, la Tuéni intreccia anche legami tra questo stato di débâcle e la sua stessa salute, il suo corpo indebolito dal cancro. Si può lasciare il suo proprio corpo malato? Non più di quanto, dicono le poesie, si può  abbandonare il proprio paese lacerato. Nelle ultime due raccolte, Liban, 20 poèmes pour un amour (1979) e Archives sentimentales d’une guerre au Liban (1982), le immagini della morte legate al corpo e al dolore fisico accompagnano quelle che rappresentano la disfatta del Paese. Il sognatore della terra (Le Rêveur de terre) ha intanto sintetizzato i suoi temi poetici dopo le guerre del 1967 e del 1973 – e racconta l’amore tra un uomo, una donna e il suo paese: composto da 70 poesie articolate attorno a parole-tema di cui Nadia Tueéni dice che sono “chiavi” di ricerca attraverso la parola poetica, che per il poeta è ellisse e non detta – e da cui spera l’effetto magico di restaurare un glorioso corpo-nazione.

Che questo suo ardente desiderio possa qui fare nascere un’eco.

Note al testo

[1] letterata e poetessa francese di origine siro-libanese, nata a Andrée Saab o Desaab il 20 marzo 1920 al Cairo e morta il 6 febbraio 2011 a Parigi, destinataria di numerosi premi tra cui il Gran Premio Paul Morand per la Letteratura 1994 dell’Accademia di Francia e il Premio Goncourt per la Poesia 2002 per citare solo l’ultimo.

[2] letterata francese, nata a Bcharré (Libano) il 23 dicembre 1937, premiata anche lei più volte, tra gli altri, con il Gran Premio per la poesia dell’Accademia di Francia nel 2009 e il Premio Goncourt per la poesia nel 2011 per Dove vanno gli alberi.

[3] L’opera poetica di Nadia Tuéni riguardo al suo paese natale: riflessioni sui legami tra paesaggio e identità di Nathalie Morel El-Chami (L’œuvre poétique de Nadia Tuéni au regard de son pays natal: réflexions sur les liens entre paysage et identité, «Littératures», Université de Lyon, 2017. Français. ffNNT: 2017LYSES015ff. fftel-02115116f).

Poesie scelte

Archives sentimentales d’une guerre au Liban (extraits)

II

L’enfant nombre les guerres sur son boulier

O jardin du Consul

espace réservé à l’histoire,

et aux majuscules.

O jardin qui éclate sous la peau de l’été.

Arbres de Kantari,

vous êtes la géométrie.

Dans Kantari une maison,

avec des portes autour du cou et du sang sur la tête,

des bouquets de gens aux fenêtres,

une lune dans le bassin,

quelques phrases dans les couloirs,

l’orage du Consul sous l’escalier,

la douce Courtisane près du frangipanier.

C’est le bal du Consul.

Je tournerai les pages du grand bal du Consul,

dans le jardin d’en face qui sent la danse comme un lampion. Il fait mou ce printemps,

robes de dames sur un damier,

quand le jacaranda respirait la sueur du ciel,

le taffetas des buissons penchés.

III

O Nuits élaborées,

les Voyageurs d’Orient comptent vos politesses

sur les doigts d’une année.

Le vent et ses alliés

s’ouvrent tels une femme.

Et tout parle de tout.

Les bruits que j’imagine sont rivière ou sanglot.

O soleil de la nuit libre comme la mort,

on dirait cet instant où chacun se regarde.

Aussi ai-je enfermé sous ma langue un pays,

gardé comme une hostie.

VI

Cherchant la folie sous les sabots de nos rancunes,

nous avons prononcé les mots qui tuent.

J’avais l’âge de mes larmes,

et les voix de toutes mes mères.

Les maisons de mes amis avaient les joues rondes à Kantari.

La nuit je faisais des paquets d’étoiles filantes,

et je gagnais des guerres.

Quand la lumière rompait mon espace construit,

dessous les flamboyants,

tous les enfants,

tabliers bleus, souliers vernis,

et leurs noms dans la poche,

sortaient du ventre de leur chambre.

Derrière les légendes du jardin d’en face,

le Consul dans sa calligraphie violette,

faisait tinter des piastres religieuses.

VIII

Nous nous sommes battus

pour le plaisir d’apprendre

l’orgueil de mourir.

Débris de vent,

calme chétif des matins

entre deux morceaux de ville.

« Combats acharnés ».

« Nouvelles médiations ».

« Parties concernées ».

Lynche nos vingt ans l’asphalte des routes,

qui vont de l’espoir jusqu’à la violence,

tout comme autrefois,

nos adolescences.

L’autre camp (peut-on choisir sa démence ?)

saigne de mille roses.

ON TIRE SUR UNE IDEE ET L’ON ABAT UN HOMME.

Toujours écarlate la puissance des mots,

plus meurtriers qu’un geste.

Ceux qui vivent au soleil de la parole,

au cheval emballé des slogans,

ceux-là,

brisent les vitres de l’univers.

Nadia Tuéni, Archives sentimentales d’une guerre au Liban, Pauvert 1982, ristampa digitale FeniXX.

Archivi sentimentali di una guerra in Libano

II

Il bambino conta le guerre sul suo abaco

Oh giardino del Console

spazio riservato alla storia,

e alle lettere maiuscole.

Oh giardino che esplode sotto la pelle dell’estate.

Alberi di Kantari,

siete la geometria.

A Kantari una casa,

con delle porte attorno al collo e del sangue sulla testa,

un mucchio di gente alle finestre,

una luna nel bacino,

alcune frasi nei corridoi,

la tempesta del Console sotto le scale,

la dolce Cortigiana presso i frangipani.

È il ballo del Console.

Sfoglierò le pagine del gran ballo del Console,

nel giardino di fronte, odorante di danza come una lanterna. È una primavera fiacca,

abiti di donne su una scacchiera,

quando il jacaranda respirava il sudore del cielo,

il taffettà dei cespugli pendenti.

III

O notti elaborate,

i Viaggiatori d’Oriente contano le vostre cortesie

sulle dita di un anno.

Il vento e i suoi alleati

sono aperti come una donna.

E tutto parla di tutto.

I rumori che immagino sono fiume o singhiozzo.

Oh, sole della notte libera come la morte,

sembra questo momento in cui ognuno si specchia.

Per quello tengo chiuso sotto la mia lingua un paese,

tenuto come fosse un’ostia.

VI

Cercando la follia sotto gli zoccoli dei nostri rancori,

abbiamo pronunciato le parole omicide.

Avevo l’età delle mie lacrime,

e le voci di tutte le mie madri.

Le case dei miei amici avevano guance paffute a Kantari.

Di notte preparavo sacchi di stelle cadenti,

e vincevo le guerre.

Quando la luce rompeva lo spazio che m’ero costruita,

sotto gli alberi di fuoco

tutti i bambini,

grembiuli blu, scarpette lucide,

e i loro nomi in tasca,

uscivano dal ventre della loro stanza.

Dietro le leggende del giardino di fronte,

il Console nella sua calligrafia viola

faceva tintinnare le piastre religiose.

VIII

Abbiamo combattuto

per il piacere d’imparare

l’orgoglio di morire.

Schegge di vento,

gracile calma delle mattine

tra due pezzi della città.

“Combattimenti accaniti”.

“Nuove mediazioni”.

“Parti coinvolte”.

Lincia i nostri vent’anni l’asfalto delle strade,

che vanno dalla speranza alla violenza,

proprio come prima,

le nostre adolescenze.

L’altro campo (si può scegliere la propria demenza?)

Sanguina di mille rose.

SI SPARA A UN’IDEA E SI UCCIDE UN UOMO.

Sempre rosso scarlatto il potere delle parole,

più micidiale di un gesto.

Coloro che vivono nel sole della parola,

Del cavallo imbizzarrito dagli slogan

quelli,

rompono i vetri dell’universo.

*

extraits de LE RÊVEUR DE TERRE

POUR UNE

jeune morte vêtue d’écritures

amour que je m’invente.

N.T 1974

Je pense à la [terre] et au blé

plus riches après la bataille,

à cette fleur de sang irremplaçable.

Homme au profil d’arbre en hiver,

écoute :

l’enfant s’endort avec des rêves de mer rouge.

*

Sous la [terre]une fenêtre,

sous tes doigts un cri d’horreur.

Chaque son est ce bourreau ;

les mots, les mots respirent au rythme de la mort.

Nos mains des pieuvres qui se cherchent.

L’Alchimie des couleurs est la seule sagesse.

Et je vais une bille de vautour bleu en peur.

*

La [terre]

pour s’inventer une émotion

dessine

un homme.

*

I

Si la mémoire s’endort dans les greniers

cette fleur et le poète

ont une même histoire de violente écriture,

preuve que la pensée n’est pas ce que l’on dit,

mais dedans le miroir un exact incendie.

II

Le silence des décombres

emprunte à l’eau son nom

mot-navire d’où partent

la [terre] et ses corps lents.

Nadia Tuéni, Le rêveur de terre, Seghers 1975, ristampa digitale FeniXX.

estratti da IL SOGNATORE Di TERRA

PER UNA

fanciulla morta vestita di scritture

amore che mi invento.

NT 1974

Penso alla [terra] e al grano

più ricchi dopo la battaglia,

a quest’insostituibile fiore di sangue.

Uomo con profilo d’albero in inverno,

ascolta :

il fanciullo si addormenta con sogni di mare rosso.

*

Sotto la [terra] una finestra,

sotto le tue dita un grido di orrore.

Ogni suono è questo boia;

le parole, le parole respirano al ritmo della morte.

Le nostre mani polpi che si cercano.

L’Alchimia dei colori è l’unica saggezza.

E vado pallina d’avvoltoio azzurro impaurita.

*

La (terra]

Per inventarsi un’emozione

disegna

un uomo.

*

I

Se la memoria si addormenta nei solai

questo fiore e il poeta

hanno la stessa storia di violenta scrittura,

prova che il pensiero non è quello che si dice,

ma dentro lo specchio un preciso incendio.

II

Il silenzio delle macerie

prende il nome dall’acqua

parola-nave da cui partono

la [terra] e i suoi corpi lenti.

*

dans Juin et les mécréantes

homme noir de la mer tu es le premier homme

celui qui fut pensé

avant que de la nuit ne viennent les soleils. O vous mes quatre amours mes quatre appartenances… Quatre femmes, un même arrière-pays… Tidimir la Chrétienne Sabba la Musulmane Dâhoun la Juive Sioun la Druze

AVANT-PROPOS

Je possède la ville sous ma paume comme un chat maigre au poil brillant. Quand je la touche pour la préserver du clair de lune elle s’endort, et les balises de l’aérodrome s’éteignent une à une en libérant un vol de gros papillons rouges. Cette ville il y a des jours où tu me la reprends. Non que tu y tiennes, mais pour donner au ciel droit de passage. Tu la couvres d’encens, et tous les doigts reprennent à chaque bénitier de quoi laver les fleurs. Je ne me souviens que des nuits. C’est naturel tant que le soleil refuse de revenir. On avait dit de lui qu’il était pyromane. Depuis ce temps-là, les femmes ont décidé de ne plus porter le deuil. Je possède une ville qui n’a pas de soleil, que je préserve de la lune, et où personne ne meurt. C’est clair.

*

O MON VOYAGE

J’ENTRE au fond de tes larmes

O mon voyage

si tu savais la difficulté d’être fleur

au pays du sable mou

le roi de trèfle est borgne

dans ses veines une eau de neige

dans ses yeux un signal d’alarme

le seul chemin ô mon voyage

nous ramène à la mer

et si la terre est ronde

l’eau s’en va dessus les nuages

donner au grand soleil un coquillage bleu

c’est l’oreille du monde

qui se trompe de bouche et périt par le feu

ô mon voyage blanc

il s’évade l’oiseau connu

loin de tes mains savantes

et comme une araignée qui a perdu sa toile

l’hiver aborde nu le toit de ma maison

son souffle dur empêche nos vieux rêves de coller à la peau

il me plaît d’être triste

ô mon voyage

d’arriver nulle part puisque je suis personne

crois-tu que dans le ciel les pierres ont des cheveux ?

Qui sait lorsque l’étoile bouge

si ce n’est pas mes yeux qu’elle cherche des yeux ?

car j’appartiens aux larmes

qui poussent après l’amour

avec un soleil au milieu

ô mon voyage condamné

*

Quand on est seul

Je veux dire quand on a le mal des fleurs,

que l’on fait à genoux le tour de soi-même,

il ne reste que deux yeux sur le mur. Quand on est seul

comme un oiseau royal,

déjà le jour impose l’horizon.

Si l’enfant est en deuil,

ce n’est pas par hasard qu’on crucifie à l’aube. Quand on est seul

avec la pluie dans un verre d’eau,

un bateau contre la fenêtre,

et des voyages à perte de vue,

un sourire saigne alors

sur ton visage loin comme une cicatrice. Quand on est seul

sans maison sous la lune

ni même une odeur de chemin,

sans désert dans la main,

que faire à cet instant précis

de tous les mots qui meurent ?

Nadia Tuéni, Juin et les mécréantes, Seghers 1968, ristampa digitale FeniXX.

da June e le miscredenti

uomo nero del mare sei il primo uomo
quello che fu pensato

prima che dalla notte vengano i soli. Oh,

voi i miei quattro amori, le mie quattro appartenenze… Quattro donne, un unico retroterra… Tidimir la Christiana, Sabba la musulmana, Dâhoun la Judea Sioun la Drusa

PREMESSA

Possiedo la città sotto il palmo della mia mano come un gatto magro dal pelo lucente. Quando la tocco per proteggerla dal chiaro di luna si addormenta e i fari dell’aerodromo si spengono uno dopo l’altro liberando un volo di grandi farfalle rosse. Questa città ci sono giorni in cui me la porti via. Non che tu ci tenga, ma per dare la precedenza al cielo. La copri di incenso e ad ogni acquasantiera tutte le dita raccolgono quanto basta per lavare i fiori. Ricordo soltanto le notti. È naturale finché il sole si rifiuta di tornare. Si era detto di lui che fosse un incendiario. Da allora, le donne hanno deciso di non portare più il lutto. Posseggo una città priva sole, che proteggo dalla luna, e dove nessuno muore. È chiaro. (…)

*

OH IL MIO VIAGGIO

PENETRO nel fondo delle tue lacrime

Oh il mio viaggio

se tu sapessi la difficoltà di essere un fiore

nel paese di soffice sabbia

il re di fiori è orbo

nelle sue vene un’acqua di neve

nei suoi occhi un avvertimento

l’unica via oh il mio viaggio

ci riporta al mare

e se la terra è rotonda

l’acqua se ne va sopra le nuvole

per dare al grande sole un conchiglia blu

l’orecchio del mondo

che si sbaglia di bocca e soccomber dal fuoco

Oh il mio bianco viaggio

Scappa l’uccello conosciuto

lontano dalle tue sapienti mani

e come un ragno che ha perso la sua tela

l’inverno approda spoglio sul mio tetto di casa

il suo aspro respiro impedisce ai nostri vecchi sogni di aderire alla pelle

a me piace essere triste

Oh, il mio viaggio

arrivare da nessuna parte poiché sono nessuno

credi che nel cielo le pietre abbiano capelli?

Chissà quando si muove la stella

se non sono i miei occhi che cerca con i suoi occhi?

Giacché appartengo alle lacrime

che crescono dopo l’amore

con un sole nel bel mezzo

oh il mio viaggio condannato

*

Quando si è soli

Voglio dire, quando si soffre dal dolore dei fiori,

che si fa in ginocchio il giro di se stesso,

rimangono soltanto due occhi sul muro. Quando si è soli

come un uccello reale,

già il giorno impone l’orizzonte.

Se il bambino è in lutto,

non a caso si crocifigge all’alba. Quando si è soli

con la pioggia in un bicchiere d’acqua,

una nave contro la finestra,

e viaggi a perdita d’occhio,

un sorriso allora sanguina

sul tuo viso lontano come una cicatrice. Quando si è soli

senza una casa sotto la luna

e nemmeno un odore di sentiero,

senza deserto nella mano,

cosa fare a quel preciso momento

di tutte le parole che muoiono?

*

de Poèmes pour une histoire

EXIL

Et voici des pays que le vent découpe en couleurs : cette nature-vive est plus bleue qu’un soleil au zénith. J’entre dans la géographie des pierres, et d’un coup d’ongle je découvre la perfection du mal. Là où l’œil aperçoit un autre œil, dis-toi que le désert commence. La poitrine ouverte des montagnes est une cage à pluie. Soudain un sommet plus glorieux qu’un bûcher jaillit de l’océan. Terre nouvelle et qui roule d’enfance en enfance et que nos doigts limitent d’un mouvement d’amour. Terre osseuse, amante dure, aux plages de folie, mais qu’un souffle parcourt de la tête à la vie, un souffle humide de toutes nos larmes. Et voici des orages qui prennent forme de villes aux frontières d’oiseaux. Noire est douce musique sur nos vitres de jour. La mer est un souvenir de vieillesse. La lune n’est qu’un temps perdu. Demain mon ciel au galop piétinera vos pensées, et sur leurs débris mous comme un matin, se lèvera l’exil.

Nadia Tuéni, Poèmes pour une histoire, Seghers 1972; ristampa digitale FeniXX.

da Poesie per una storia

ESILIO

Ecco qui paesi scolpiti a colori dal vento: questa natura-viva è più blu di un sole allo zenit. Entro nella geografia delle pietre, e con un colpo d’unghia scopro la perfezione del male. Dove l’occhio scopre un altro occhio, sappi che inizia il deserto. Il petto aperto delle montagne è una gabbia da pioggia. Improvvisamente una cima più gloriosa di una pira sorge dall’oceano. Terra nuova che rotola da un’infanzia a un’altra infanzia e che le nostre dita limitano con un movimento d’amore. Terra ossuta, amante dura, con spiagge di follia, ma percorsa da un soffio dalla testa alla vita, un soffio bagnato di tutte le nostre lacrime. Ed ecco i temporali che prendono la forma di città dai confini di uccelli. Nera è dolce musica sulle nostre finestre di giorno. Il mare è un ricordo di vecchiaia. La luna è solo un tempo perso. Domani il mio cielo dal suo galoppo calpesterà i vostri pensieri, e sulle loro macerie fiacche come un mattino, sorgerà l’esilio.

dal sito di Babelio

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