Nohad Salameh, poeta plurale / poète pluriELLE [ita, fra]

di © Marilyne Bertoncini

[French below/ Texte français ci-dessous]

foto del titolo: Nohad Salameh, Beyrouth 1988, e Cenacle européen, premio Senghor di poesia – Nohad Salamet e Marc Alyn

Nata in Libano, da un padre poeta da cui ha ereditato il gusto per le parole, Nohad Salameh è ​​una autrice francese – è in questa lingua che costruisce un’opera lirica e densa, iniziata con l’ammirato sostegno del poeta Georges Schehadé, che vede in lei una “promessa stellare del surrealismo orientale”. Pubblica nel 1968 la sua prima raccolta di poesie L’Echo des souffles e intraprende il giornalismo letterario. L’incontro con il poeta francese Marc Alyn cambierà la sua vita: si sposano durante la guerra civile in Libano, e si stabiliscono a Parigi nel 1989.

Nohad Salameh, Beyrouth 1988

L’ opera di Nohad Salameh riceve più premi: il Premio Louise-Labé nel 1988 per L’Autre Ecriture, il Grand Prix de Poésie d’automne della Société des gens de lettres nel 2007 e il Premio Paul Verlaine dell’Accademia di Francia a 2013 per Altre Annunciazioni.

Dice ella stessa, della sua scrittura (sul sito della Casa degli Scrittori), che tratta i seguenti temi :

l’esilio, l’amore, il malessere, la lacerazione, la doppia patria, la doppia lingua e lo splendore talvolta tragico del quotidiano condividono il territorio della mia scrittura concepita come elegia delle prove e ricerca dell’identità. Una delle risorse essenziali della poesia mi sembra consistere in una tensione sempre rinnovata verso il meravigliarsi, senza strapparci dalle radici interiori o dall’esperienza personale. Perché l’essere poeta non è forse acconsentire all’irrompere dell’inevitabile competizione, persino nel vicolo cieco, dove questa modalità espressiva ci sta conducendo nel millennio di Internet e dell’immagine?

Membro della giuria del Premio Louise Labé dal 1990, Nohad Salameh è presente in numerose antologie, e oltre vari saggi e traduzioni, ha pubblicato 13 raccolte di poesie, l’ultima delle quali, intitolata Lilith (ed. du Grand Tétras, 2016), è un’ode alla donna, tema che ritroviamo in Marcheuses au bord du gouffre (ed La lettre volée, 2018) undici ritratti di figure femminili tragiche, in bilico tra squilibrio e morte.

Durante il seminario online dell’Università di Nizza dedicato alle poetesse contemporanee, l’11 dicembre 2021, l’opera di Nohad Salameh è stata oggetto di una comunicazione di Carole Mesrobian, poeta anch’essa, di cui vi propongo (qui sotto il testo francese dell’introduzione) l’inizio – la totalità di questa comunicazione in francese si può leggere nel numero 74 della rivista Nu(e), sul sito web di poezibao.

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Poète pluriELLE – Nohad Salameh

Née au Liban, d’un père poète dont elle hérite le goût des mots, Nohad Salameh, est une femme de lettres française – c’est dans cette langue qu’elle construit une œuvre lyrique et dense, commencée avec le soutien admiratif du poète Georges Schehadé, qui voit en elle une «étoile prometteuse du surréalisme oriental». Elle publie son premier recueil de poèmes L’Echo des souffles et se lance dans le journalisme littéraire. Sa rencontre du poète français Marc Alain, bouleversera sa vie : ils se marient durant la guerre civile et s’installent à Paris en 1989.

Dans son œuvre, plusieurs fois primée – le Prix Louise-Labé en 1988 pour L’Autre Écriture , le Grand Prix de Poésie d’automne de la Société des gens de lettres en 2007 et le Prix Paul Verlaine de l’Académie française en 2013 pour D’Autres annonciations.

elle évoque, selon ses propres mots sur le site de la Maison des écrivains, “exil, amour, mal-être, déchirure, double-pays, double-langage et splendeur quelquefois tragique du quotidien se partagent le territoire de mon écriture conçue comme une élégie des épreuves et une quête d’identité. L’une des ressources essentielles de la poésie me paraît consister en une tension toujours renouvelée vers l’émerveillement, sans nous arracher aux racines intérieures ni au vécu personnel. Car être poète, n’est-ce pas consentir à l’entrée en jeu de l’inéluctable compétition, voire à l’impasse, où nous conduit ce mode d’expression dans le millénaire de l’internet et de l’image?

Membre du jury du prix Louise Labé depuis 1990, elle est présente dans de nombreuses anthologies, a publié des essais, des traductions, 13 recueils de poésie dont le dernier, intitulé Lilith (ed. du Grand Tétras, 2016), est une ode à la femme, thème qu’on retrouve dans Marcheuses au bord du gouffre, (La Lettre volée, 2018) onze portraits de figures tragiques guettées par le déséquilibre et la mort 

Lors du séminaire en ligne de l’université de Nice consacré aux poètes femmes contemporaines, le 11 décembre 2021, l’œuvre de Nohad Salameh a fait l’objet d’une communication de Carole Mesrobian dont je propose ici le début – l’intégralité de cette communication peut être lue sur le numéro 74 de la revue Nu(e), sur le site de poezibao.

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Nohad Salameh, eponimo del poema

Carole Mesrobian

Nohad Salameh, questo nome ormai risuona come quello delle donne, quello della Donna creatrice, non per via della maternità, ma dentro la Parola e attraverso di lei. C’è qui una volizione, un atto, in cui la donna si costituisce come essere agente in questo processo di gestazione e nascita. Tutto il lavoro di Nohad Salameh consiste nell’integrare, quindi nell’enunciare, questa coscienza creatrice femminile, nell’analisi del processo operando nell’emergere di questa trasmutazione che porta l’essere a nascere da sé, un’alchimia che opera anche attraverso la poesia.

Si dice generalmente che il Verbo sia l’uomo. È stato affermato per millenni questo fatto che il ruolo di “chi dice” debba essere devoluto agli uomini. Il padre è il Verbo. La donna rimane nel silenzio ctonio delle acque sotterranee, delle gestazioni alle quali cederà le sue forze per poi scomparire. La donna è passività, vuoto e ombra, luna e dolcezza di un’accoglienza incondizionata.

Nohad Salameh è pure questa donna, colei che risponde alle attese dell’inconscio collettivo, dell’immaginario sociale. Ma è anche diversa. È colei che afferra il Verbo e ricrea il linguaggio. È un atto fondatore, quello di ogni essere che fa nascere se stesso, quello di tutta la poesia. Nohad viene al mondo, si impadronisce del mondo, attraverso questo linguaggio unico, che è il suo, inventato per esistere, nell’atto di scrivere. Forgia un universo e un particolare uso autotelico del linguaggio, evocando riferimenti che nella loro convivenza plasmano una cosmogonia incomparabile dove la donna è a sua volta il velo azzurro delle costellazioni orientali e l’essere che scava le radici dell’inconscio, per svelare una sofferenza orlata dai simboli di un’umanità che si ritrova tutta nelle sue poesie. Queste due polarità costituiscono la materia della sua scrittura, dove elementi biografici si affiancano a elementi simbolici e a figure emblematiche della letteratura femminile.

Marcheuses au bord du gouffre, Nohad Salameh (ed. La Lettre volée, 2018)
Le Livre de Lilith, Nohad Salameh, illustration Colette Deblé (ed. Le Grand Tétras, 2016)

È il saggio Marcheuses au bord du gouffre che fa luce sull’opera di Nohad Salameh, o più esattamente offre la possibilità di una lettura che mette in rilievo la costruzione della Donna poeta, scrittrice, nel compimento del suo destino. Il Libro di Lilith, pubblicato poco prima, deve essere considerato come un araldo di questo saggio che è un’estensione della raccolta.

Nel Libro di Lilith pubblicato nel 2016, Nohad Salameh interroga attraverso questa figura augurale la postura della donna che rifiuta il giogo imposto dall’uomo, e la dominazione maschile. Secondo il mito, Lilith fu la prima moglie di Adamo, prima di Eva. Insubordinata, si rifiuta di obbedire e di sottomettersi ai dettami degli uomini. È oggetto di una maledizione e deve fuggire per condurre una vita errante nelle regioni oscure del mondo. La tradizione la trasformerà in una donna cattiva e demoniaca, quando prima di Antigone, disse niente più che di no. Rappresenta in astrologia tutto ciò che un essere non osa affrontare, per paura.

Nohad Salameh si sforza di trasmutare l’immagine di questo favoloso personaggio per ripristinare la sua purezza originale di donna libera e visionaria. Attraverso questo simbolo evoca la sua condizione di donna, e guarda le sue “sorelle”, i cui ritratti, dipinti in una moltitudine di quadri, appaiono raggruppate in capitoli che offrono una suddivisione tematica: “Voltigeuse sul filo del rasoio, Donne da qui e altrove, Corrispondenza notturna, Dame bianche dell’oblio ”.

Questi ritratti fanno seguito ad una prima parte che si potrebbe recepire come preambolo: “Parole di Lilith”, un lungo poema di quattro pagine, la cui prima strofa inizia con il pronome personale “Io”, la seconda parte con l’indefinito collettivo pronome francese “on”, cui segue in una terza parte l’evocazione di una comunità in cui la poeta è nuovamente inserita, grazie all’enunciazione contigua del sostantivo “sorelle” e della prima persona singolare:

Souvenez-vous de moi
comme d’un fruit glorieux
d’un rire en cascade d’étoiles
d’un port sans adieux ni navires
au bout de toute errance.

Comment sauriez-vous que j’ai mal à vos cœurs
Lorsqu’ils perdent les feuilles saintes de la colère
Et la mémoire mélodieuse
Des dahlias de Jéricho ?

Sœurs de fraîches plaies
Qui coulez en mon sang-onde à l’affût des soifs-
Pénétrez en moi par la porte neuve
Pieds nus
Avec vos guitares du dimanche !1

1 Le Livre de Lilith, L’Atelier du Grand Tétras, paris, 2016

Ricordatevi di me
come un frutto glorioso
una cascata di ridere di stelle
un porto senza addii né navi
alla fine di ogni peregrinare.

Come potreste sapere che soffro dei vostri cuori
Quando perdono le foglie sante dell’ira
E il melodioso ricordo
Delle dalie di Gericho?

Sorelle di ferite fresche
Voi che scorrete nel mio sangue-onda in agguato di sete-
Penetrate in me attraverso la porta nuova
a piedi nudi
Con le vostre chitarre della domenica!

Questo gioco con i pronomi personali è evidente qui, in francese, ed è questo che rende così speciale la scrittura del poeta. Questa poesia introduttiva conduce all’evocazione di un’entità femminile globale e indeterminata, “Lilith l’Inalterabile”. La parola si costituisce, raccoglie, magnifica, crea una comunità, nella quale Nohad Salameh non si perde, non rinuncia alla sua voce, anzi. Si moltiplica, assume e ripristina il potere secolare di tutte quelle che hanno voluto essere libere, vivere secondo il loro volere, nominarsi, essere nominate. Fin dall’inizio il tono è impostato: il discorso sarà quello di una femminilità che, per esperienza personale, porterà al Femminile universale.

Plurielle-mais intemporelle
je donne jour à la Vierge noire
à Isis la réparatrice
j’offre l’orange d’un sourire
et tourne le moulin de l’allégresse en l’âme d’Elat
ma sœur juive1

1 Marcheuses au bord du gouffre, ed. La Lettre volée, 2018

Plurale, ma atemporale
Do alla luce la Madonna nera
a Isis la riparatrice
Offro l’arancia di un sorriso
e che giri il mulino della gioia nell’anima di Elat
mia sorella ebrea

I ritratti di donne si susseguono e la disposizione delle poesie all’interno dei capitoli consente a elementi aneddotici di condurre all’universalità dell’esperienza umana. I pronomi personali della prima persona vanno di pari passo con quelli del collettivo. L’uso ricorrente del “tu” permette l’allontanamento offerto dallo sguardo che il poeta ha su se stessa e anche, grazie all’ambivalenza consentita dagli attributi referenziali del pronome, sulle donne, sue simili, altre e presente in ciascuna. Così “Più nuova della morte” opera un va e vieni tra una visione riflessiva determinata da una dialettica stabilita tra l’introspezione e un indirizzo alla donne, interpellate ma non definite, determinate ma non individualizzate, quindi colte attraverso caratteristiche immanenti della loro natura profonda:

Tu résides dans le noyau dur du temps
puisant des étincelles
dans l’entrechoquement des cailloux lunaires.

Tu élis domicile au centre du miroir
Et ton espace se resserre
projetant un sable d’ombre
dans les interstices de ta peau.

Femme épouvantée
proche de toute rupture
menacée à la fois par la cendre et la flamme
méfie-toi des passagers sans paroles
qu’attisent tes angoisses
toi qui demeures à jamais
plus neuve que la mort.
1

1 Ibid.

Tu risiedi nel nocciolo duro del tempo
attingendo a scintille
nello scontro dei sassi lunari.

Scegli di risiedere al centro dello specchio
E il tuo spazio si restringe
Progettando una sabbia d’ombra
negli interstizi della tua pelle.

Donna spaventata
vicina a qualsiasi cedimento
minacciata dalla cenere e dalla fiamma
sii attenta ai passeggeri silenziosi
che le tue ansie alimentano
tu che per sempre rimani
più nuova della morte.

Attraverso questi ritratti sorge la femminilità della poetessa, e le sue domande sulla sua condizione di donna, in una società eminentemente patriarcale, si nascondono attraverso questi dipinti. Donna orientale, Nohad Salameh, evoca ripetutamente l’esperienza di questa ricerca di libertà, rifiutata, impossibile e rubata nonostante la sua condizione. Questa dice la sua rivolta e l’affermazione del suo desiderio di esistere, le sue prove e la difficoltà di essere donna, di rivendicare questa libertà. Così in La ferita dell’Oriente:

Femmes de tous les siècles
et de toutes les aurores
venez dormir en mes paupières :
j’arrive de partout et de nulle part
– présages de tant de chemins.

Se profilent en mon regard
– fenêtre d’eau somnolente –
des promesses de partance
mirages et miracles.
Est-ce blessure d’Orient jamais cicatrisée
cette chose de sang et de sueur mêlés
qui bat des ailes aux grelots de ma danse ?

J’avance entre l’ici et l’ailleurs
Parmi les tempêtes majestueuses de l’insoumission
Et les frissons des mondes superposés
Je me penche vers vous
Afin de me perdre en moi-même.
1

1 Ibid.

Donne di tutte le epoche
e tutte le albe
venite a dormire nelle mie palpebre:
Vengo da ovunque e da nessuna parte
– presagi di tanti sentieri.

S’indovinano nel mio sguardo
– finestra d’acqua assonnata –
promesse di partenza
miraggi e miracoli.
Sarà questa la ferita orientale mai cicatrizzata?
questa cosa di sangue e sudore mischiate
che sbatte le ali ai sonagli del mio danzare?

Vado avanti tra qui e l’altrove
Tra le maestose tempeste della ribellione
E le emozioni dei mondi sovrapposti
mi protendo verso di voi

Per perdermi in me stessa.

Lilith non appare più come la faccia oscura della luna, ma come la parte necessaria per la rivelazione della luce. L’introspezione non è più né femminile né maschile, le divisioni sono abrogate, superate dalle parole della poeta che in un linguaggio metaforico e lavorato in modo da dispiegarne tutte le potenzialità semantiche permette di aprire la strada a quella parte dell’Umanità che ciascuno di noi porta in sè. Un percorso dell’essere in divenire, il percorso del suo compimento al filo di prove e scontri. Gli elementi biografici evocano tutte le prove talvolta incontrate in un’esistenza, in sintonia con il canto di un dolore redentore. La poesia è ancorata nel panorama referenziale di un viaggio topografico, perché evoca partenze e peregrinazioni, sradicamenti e città abbandonate sotto le bombe, i luoghi visitati viaggiando senza bagagli né ancore. Il compimento di questo viaggio geografico, metafora del progresso mentale, è il diventare una donna, che si appropria della sua ricerca di libertà attraverso la scrittura, la sua unica casa, così come quest’ultima meravigliosamente ricorda in “Donna/scrittura”:

Surgie du luxe qu’est le silence
tu veilles à la frontière du domaine de signes
dans l’échancrure de l’encre heureuse
qui t’emporte vers la voie lumineuse
où se meut le mystère.

Là/à l’orée de l’instant inaltérable
derrière les tentures du songe
plus rien ne fait écran
à l’avancée vertigineuse de tes graphies
tandis que tes empruntes digitales
brasilles sur fond de meurtrissures.

Alors sans cesser de respirer
– matière liquéfiée par l’eau princière de l’esprit –
du dedans et du terme :
lieu séminal d’une page
en quête au plus profond de toi
d’autres saignées. 

1 Ibid.

Sorta dal lusso che è il silenzio
vegli al confine del dominio del segno
nell’insenatura dell’inchiostro felice
che ti porta verso la via luminosa
dove si muove il mistero.

Là / al confine dell’istante inalterabile
dietro le quinte del sogno
niente più fa schermo
al vertiginoso avanzare delle tue grafie
mentre le tue impronte digitali
scintillano su uno sfondo di contusioni.

Quindi senza cessare di respirare
– materia liquefatta dall’acqua principesca dello spirito –
dall’interno e dal termine:
luogo seminale di una pagina
in cerca nel profondo di te
di altri salassi.

Lilith, guerriera feroce e ribelle, offre il suo lato oscuro che viene assorbito dalla chiarezza di una scrittura lunare e sontuosa. Molteplice e unica, la donna appare nel Libro di Lilith in tutta la sua quintessenza. E se questa raccolta affronta temi di innegabile gravità, come la condizione della donna e lo sradicamento, la forza del lavoro linguistico conferisce ai versi dell’auttrice una portata trascendente. Al di là delle divisioni e delle lotte, dimostra che la scrittura è un territorio che trasfigura l’aneddotico e permette con un’alchimia potente ed edificante di unire l’Umano e l’universale. Quello che ci viene offerto qui è ricevere in dono l’essenza stessa della poesia: la libertà, svelata dalla trasmutazione offerta dal potere del linguaggio. Nohad Salameh si impadronisce della parola, del diritto di parola, dell’invenzione di una parola, “inesauribile”.

Femme intarissable
ainsi que la naissance
ta bouche déborde de coquillages de lune
et d’eau lustrale.
Tu dénoues les pluies
Afin de recueillir les millénaires
Dans la jarre des générations.

De toutes parts
Tu sens imploser en toi
L’avant/l’après
Et les signes annonciateurs
D’une contrée promise.
1

1 Ibid.

Donna inesauribile
così come la nascita
la tua bocca trabocca di conchiglie lunari
e acqua lustrale.
Sciogli le piogge
Per raccogliere i millenni
Nel vaso delle generazioni.

Da tutte le parti
Lo senti implodere in te
Il prima/dopo
E i segni precursori
Di una contrada promessa.

Il lavoro dei pronomi personali adiacenti a nomi e simboli femminili permette la costruzione di isotopie che funzionano come asserzioni di equivalenza. L’effetto del significato figurativo è chiaramente mostrato in ogni caso dall’affermazione complessiva. Nohad Salameh diventa tutta donna. Enunciatrice di questa entità finalmente nominata, e interlocutrice, a volte appare nel poema, ma per unirsi alla coorte di altre donne, quelle che evoca. Simboli e campi lessicali tessono reti semantiche sempre di estrema densità, unendo una storicità dove simboli e nomi di donne che sono esistite e hanno sofferto per essere libere accanto all’evocazione di una contemporaneità sia essa letteraria, sociale o geografica. La particolarità di questa scrittura è che alle parole della poeta saldamente ancorate al testo, nello schieramento degli elementi referenziali del linguaggio, si affianca una funzione autotelica supportata da scelte paradigmatiche e sintattiche. È un sistema che le permette di fondersi con queste figure tutelari femminili, di includersi senza perdersi.

Le immagini assolutamente superbe aprono l’immaginazione all’immagine di una donna molteplice e tuttavia una enunciatrice di questa parola che racconta, che comprende e costruisce un’entità finalmente riconosciuta in questa figura femminile che solo la letteratura permette di edificare, alla quale solo la poesia offre la redenzione, e che prende esistenza solo lì, nella letteratura, nella poesia. Questa performatività del linguaggio poetico di Nohad Salameh ha qualcosa di unico, di superbo, e mostra la possibile trasmutazione operata grazie all’opera della lingua. Allo stesso tempo, crea un inventario di ciò che è stato messo a tacere, questa esistenza delle donne, indipendentemente dalla loro origine, dal loro volto, dal loro nome, diventano tutte in un unico desiderio di vivere libere. È l’edificazione di questa Donna attraverso la parola, e la poesia.

Questo linguaggio è anche lì, potente, cesellato, conciso e poetico, in Marcheuses au bord du gouffre, Nohad Salameh costruisce uno spessore semantico diacronico e sincronico attorno a undici figure tragiche di lettere femminili. L’autrice/poeta mette in luce le molteplici sfaccettature identitarie, culturali e umane dell’essere femminile, sul modello della sua raccolta di poesie Il Libro di Lilith, attraverso l’evocazione di queste donne. Un saggio di grande bellezza grazie alla Parola di Nohad Salameh, che ha saputo evocare le esistenze di chi ha vissuto senza concedere nulla a questo desiderio di essere libera, riconosciuta per se stessa, come soggetto e non solo, come donna che scrive, che osa afferrare la Parola, quindi camminare su questo territorio devoluto agli uomini. Il loro nome è sottotitolato da gruppi nominali che non lasciano dubbi sul tono di ciò che hanno vissuto: “la murata”, “la moglie tragica della notte”, “l’angelo androgino”, “La bambola squartata”, “la cantilene dei non amati”, “ninna nanna dei morti”, “come un uccello catturato dai fari”, “colui che voleva essere Dio”, “Vivi e pensa fuori dagli schemi”. Donna di lettere, ognuna a suo tempo ha incontrato questo muro intangibile ma carcerario di ciò che le convenzioni richiedono e impongono. Nohad Salameh li nomina, e specifica che questo approccio non è esaustivo. Vive in loro, li porta via nel turbine del suo sguardo, quello di una sorella, di un’amica… Questa citazione di Virginia Wolf da A Room of One’s own, “Lo scrittore è affetto da ogni forma di squilibrio: una maledizione, un grido di dolore sale dai suoi libri”, offerto come preambolo, prefigura ciò che seguirà. È la storia di una vita durissima, sia per amore, esilio, frequentazione di circoli letterari dove si formano e si sciolgono amicizie, amori spesso platonici – sia tragica, perché hanno voluto vivere a pari con questi uomini piuttosto che al loro seguito.

Anche qui il “io” non è un altro, nemmeno loro, “io” è un noi, formato dalle voci femminili della letteratura, “io” è denso di simboli e volti. Questa scrittura magistrale riesce a caricarsi della totalità di un’espressione femminile, di tutte le epoche, di tutte le origini, Nohad Salameh è tutte le donne. Questa osservazione equivale a dire che questa parola poetica è unica, potente e affascinante, come se ci permetesse di vedere nel cristallo tutte le tracce dei passaggi di quelle che hanno portato la Letteratura, tutto lo scintillio lasciato dalle loro risate così rare e lontane dalla spensieratezza, e tutto il prisma luminoso che nel riflesso delle loro lacrime ha delineato i contorni del paesaggio di una letteratura femminile spesso tralasciata da ciò che la Storia letteraria conserverà, e che la Poeta sa di essere ancora troppo poco considerata. Sono Emily Dickinson, Else-Lasker-Schüller, Renée Vivien, Nelly Sachs, Edith Södergran, Milena Jesenskà, Annemarie Schwarzenbach, Unica Zürn, Ingeborg Bachmann, Sylvia Plath e Marina Cvetaeva:

Durante tutta la sua vita venne negato a Marina Cvetaeva il libero passaggio in tutto: tutto fu un vicolo cieco. Scorticata viva, orgogliosa, avendo pagato il centuplo per i suoi doni brillanti e la più umile felicità, dimostrò in parti uguali saggezza mistica e folle amore, aggrappandosi al più piccolo ramoscello con inesauribile tenacia. Fin dall’infanzia si addestrò alla morte, come un uccello doma le sue ali. Forse desiderava una sparizione sacrificale nella speranza di raggiungere l’estasi dell’Epilogo. A Parigi, mentre piangeva la morte di un amante nella Chiesa ortodossa, lasciò sfuggire questa confidenza : «Vorrei morire, ma sono costretta a vivere per Mour». La sua partenza volontaria, sdegnosa più che disperata, è una dimostrazione del valore che è affine alle eroine tragiche come Antigone. La sua voce, sempre lucente, continua ad illuminarci nella notte della storia,

Prega, anima mia, per la casa senza sonno
Per la finestra illuminata

(Marcheuses au bord du gouffre, éditions La Lettre volée, collection Essais, Liège, 2017)

Scrivere il camminare di queste donne, dando profondità e vita al loro percorso di crudeltà e difficoltà spesso trascurato, è rendere visibile ciò che è alla base del loro lavoro. È anche mostrare che i loro scritti sono abitati da pensieri, da volontà, da determinazione, mossi da un’intelligenza operativa quanto quella degli uomini. Ma i libri delle donne non vengono portati o ricevuti come i libri degli uomini. Allo stesso modo, quando una donna vive vicino a un uomo di lettere, il suo cammino è spesso sulle orme di quest’ultimo. Come mai? Forse perché promuovere e ricevere ciò che crea non sono la stessa cosa. Penso a Ilse e Pierre Garnier. Lei è stata attiva e coinvolta nello sviluppo della poesia spaziale. E lui in un’intervista riconosce l’importanza del lavoro di lei e denuncia il fatto che lei fosse meno riconosciuta di lui; durante un’intervista televisiva ha detto: “All’inizio, quando pubblicavamo qualcosa con entrambi i nomi, cadeva sempre su di me”. Al che lei risponde: “Era normale perché Pierre era conosciuto. […] D’altra parte, la società è rimasta ancora molto maschilista”. Questo dialogo è assolutamente magnifico e apre a questa dimensione mozzafiato dell’amore. Ma quale nome ricorderà la storia? Nohad Salameh lo dice chiaramente: il suo primo premio di poesia le è stato assegnato prima della convivenza con colui che sposerà. Non che si tratti di competizione, o disincanto, tutt’altro, ovviamente. Ma l’essere che è diventata, e la Poeta che è sempre stata, esistono indipendentemente dal suo rapporto con il marito, poeta anche lui. Il posto riservato al lavoro delle donne, e la loro accoglienza, sono ancora problematici, ancora connotati, ancora attenuati. Nohad Salameh voleva dimostrare che le donne vivono e si comportano come le loro controparti maschili in questo mondo dell’arte. Ha voluto suggerire che il lavoro di una donna è sostenuto dalla stessa complessità di quelli degli uomini, dalle stesse domande e dallo stesso desiderio di esistere nella totalità del loro essere. Ma soprattutto, nelle pagine di Marcheuses au bord du gouffre, ha affermato tutta la sofferenza e tutta la volontà che ci voleva per continuare a desiderare questa Letteratura, questa libertà di impadronirsi della Parola. Per via di un linguaggio ineguagliabile, perché preciso, efficiente ed eminentemente poetico, è tutto il percorso di queste autrici che rimane ed è anche questo miracolo della Letteratura, che ha contribuito a plasmare il loro “essere libero”, grazie al suo potere di trasmutazione, a questa alchimia che opera, quando le sfide prendono la via di una trascendenza offerta dal lavoro sul linguaggio.

Marcheuses au bord du gouffre risuona delle grida spesso insopportabili di questi spettatori caduti all’indietro e che battono l’aria con le braccia, come nella lama del tarocco intitolato La Maison-Dieu. Non molto tempo fa, il poeta, ancora indicato con il termine dispregiativo di poetessa, era solo una riga in fondo alla pagina composta in caratteri minuscoli – il minuscolo. Nel momento in cui la vediamo finalmente uscire dalla sua tana e avanzare, a piedi nudi, verso la luce, è stato senza dubbio opportuno salutare questi guerrieri trasfigurati dalle loro ferite.

Questo saggio, pilastro centrale dell’opera di Nohad Salameh, pubblicato dopo Il libro di Lilith, diffonde i temi sottesi alle sue parole, oltre che la sua poetica. Nel suo lavoro, le affermazioni assumono il loro significato in una relazione figurale con un’altra affermazione. Che si tratti di esilio, guerra, separazione da una persona amata, e soprattutto, in tutte queste modalità esistenziali, del posto delle donne, la trama isotopica delle sue collezioni è ricca di tutti questi temi, e l’enunciazione poetica rimane costante. Il simbolo è potente, ricorrente e assume una semiotica strutturale dei testi, qualunque sia la loro categoria generica. L’ampiezza e il potere poetico delle raccolte e dei saggi pubblicati da Nohad Salameh sono assolutamente mozzafiato, e tutte queste problematiche sono incrollabilmente attivi, soggetti al lavoro del linguaggio e al potere riflessivo della poesia.

Leggendo D’autres Annonciations, questa testimonianza di una poesia unica traspare in ciò che è costante nella scrittura della poeta. L’antologia pubblicata nel 2012 riprende alcuni testi precedenti. Si tratta in particolare della guerra e dell’esilio. Nella prefazione Nohad Salameh sottolinea questo dolore ancora acuto, quello di non vivere più nella terra dei suoi antenati:

Definirmi poeta dell’esilio dall’attuale scelta poetica, attraverso la quale emergono in silenzio l’elegia delle prove e la ricerca dell’identità, sarebbe giudizioso in quanto la forza dello strappo riuscirà a conservarne la memoria – perché c’è un’altra via d’uscita, un’altra luce per la poesia che quella dell’essere fino alla morte vissuta? “

Anche qui le figure, la metafora, la sineddoche e la metonimia operano nel significato del testo poetico dei capovolgimenti di Nohad Salameh, dal particolare al generale, cioè da lei a tutte, sfumando il confine tra l’unico e il numero, rendendo il pronome personale di prima persona permeabile e poroso. “Io” è diluito in isotopie e figure dispiegate in questo potere evocativo contenuto nella sua poesia. L’“Io” si mescola alla trasmutazione offerta dai simboli, e partecipa alla costituzione di una inedita semiotica, perché moltiplicata dall’alchimia del Verbo, e raggiungendo l’universalità dell’Umano. Il pronome personale della prima persona singolare è presente in tutte le raccolte di Nohad Salameh, ma la sua poesia è scevra da ogni lirismo personale, appena è riconoscibile la figura della donna esistente in una notevole cronologia e identità negli elementi biografici. Figure e spostamenti isotopici operano espansioni sintattiche e paradigmatiche che portano l’universo referenziale verso un oltre del linguaggio. Si svela allora un universo che, lungi dal rompere con la realtà, la rende sensibile.

In Les Enfants d’Avril, la sofferenza, quella dell’esiliata, della donna che ha visto il suo paese, la sua città, la terra dei suoi genitori, sottoposta agli orrori della guerra, diventa il soggetto del poema. Testi in prosa poetica, che grazie agli spostamenti semantici offerti dalle immagini rendono palpabile la terribile prova subita dalla poetessa e dal suo popolo.

30 juillet (minuit)

Demeurer éveillés dans cette froide lumière des ténèbres
afin que la mort ne nous surprenne en plein sommeil. Là-haut
– vautours au-dessus d’un lac- plane la fusée éclairante de la
panique.

Continuer d’émettre notre fragile souffle au ras des choses,
taraudés par la menace des fruits de cuivre qui chute avec
une odeur d’encre et de pneus bouillis : car la ville fait un bruit
de sang sur les terrasses soyeuses, tandis que ses rivages tendent
des croix de sable aux navires en partance.

Beyrouth, lorsque ton interminable hurlement de béton
fracassé déchire mon casque de silence au cœur de la nuit,
je t’invente des caresses d’immortelle.1

1 Les Enfants d’avril, 1980-1990, in D’Autres annonciations.

30 luglio (mezzanotte)

Rimanere svegli in questa fredda luce delle tenebre

affinchè la morte non ci colga addormentati. Lassù
– avvoltoi sopra un lago – aleggia
il bagliore del
panico.


Continua a emettere il nostro fragile respiro a livello delle cose,
rose dalla minaccia dei frutti di rame che cadono con

odore di inchiostro e gomme bollite: perché la città fa rumore

di sangue sui terrazzi setati, mentre le sue rive stendono
croci di sabbia alle navi in ​​partenza.

Beirut, quando il tuo grido senza fine di cemento

infranto strappa il mio elmo di silenzio nel cuore della notte,

Ti invento carezze d’elicriso immortali.

Altri testi di questa antologia, pubblicati prima o dopo questo esilio, restituiscono questa parte di dolore, sempre presente nei versi di Nohad Salameh. Anche qui stupisce questa lingua, trasporta, scandisce il reale come un frutto acido e restituisce la magia di ciò che poi svela. È un mondo polifonico e musicale, colorato e potente, dove anche le ferite rivelano la forza per eccellenza. Come scrive J.F. Lyotard :

La poesia è interessante non per il suo contenuto ma per il suo lavoro. Ciò non consiste nell’esteriorizzare in immagini forme in cui il desiderio del poeta o il nostro si realizza una volta per tutte, ma nel rovesciare il rapporto del desiderio con la figura, offrire non immagini in cui si realizzerà perdendosi, ma forme (qui poetiche) dalle quali si rifletterà come gioco, come energia slegata, come processo di condensazione e spostamento, come processo primario.
Jean-François Liautard, Discours, Figure, Editions Klinckseick, 5ème édition, Paris, 2002

Scrittura dell’intimo, che unisce il molteplice e il tutto, infine, in un’unificazione creativa, tale è questa poesia di così intensa densità che si apre alla pluralità dei mondi. Dolori della guerra, dell’esilio, e di chi soffre, non importa chi, dove, come, emerge questo sguardo che abbraccia le paure e le prove degli altri e l’intelligenza del cuore, li conduce in ciò che solo la Parola è in grado di creare, una terra comune, una pelle simile, un silenzio condiviso ricco del poema di Nohad Salameh.

En moi tout appartient à l’écorce
je me confonds pêle-mêle avec mes silhouettes
antérieures

et module du dedans ma plaie
avivée par l’attente

Contre ma poitrine
une pendule rouge cassée
par la diablesse de l’érable.
Je fais corps avec les autres
mais possède le sel mauve
qui restaure la paix du royaume
ainsi que le pouvoir de déchirer les eaux.
Je te le dis :
le feu est vert à l’envers des flammes.
1

1 L’Autre écriture, 1987, in D’Autres annonciations.

In me tutto appartiene alla corteccia
Mi confondo a casaccio con le mie sagome
antecedenti
e modulo da dentro la mia ferita
accesa dall’aspettativa
Contro il mio petto
un orologio rosso rotto
dalla strega dell’acero.
Faccio tutt’uno con gli altri
ma è mio il sale malva
che ristabilisce la pace del regno
così come il potere di squarciare le acque.
Io te lo dico :
la luce è verde all’inverso delle fiamme.

E, infine, sempre questa parola di donna per le donne, dove l’enunciatore si fonde con il numero indeterminato, fino a creare un’entità potente e riconoscibile, quella dell'”essere donna”, assunta e rivendicata come tale diritto di esistere in tutta l’ampiezza della vita. Sempre grazie a questo lavoro di pronomi personali che costruiscono un sistema di co-referenze che struttura il poema e opera sottili spostamenti enunciativi, assunti anche dalle figure simboliche e dai nomi citati in molti testi. Numerose metafore contribuiscono a creare un universo referenziale che muove gli elementi evocati in una cornice senza tempo, dove i simboli trasmutano gli elementi evocati e ne svelano l’essenza, dove gli epiteti offrono ai nomi tutte le potenzialità espressive, fuori dal tempo, quindi aperto alla sua.

La Revenante

D’un vol presque de cigogne
Je reviens tenir compagnie
A ceux qui dorment
Sous les jardins de l’épouvante.

De transparence en transparence
Je patine vers mon halo premier
Sans fracas
ni brisure

je chute dans la durée paresseuse du sable.
Je m’endors sous la trame des bouvreuils
– tout mon souffle pour lisser la Pierre
et je m’écris au hasard sur les lentes parois
d’où se penche le temps.

Revenante de mer en mer
d’absence en absence
les chevilles ravivées de soleil et d’encens
J’enjambe pêle-mêle des fortifications
d’absinthe et de ronces
afin de devenir l’épiphanie du Retour
.1

1 La Revenante, 2007, in D’Autres annonciations

La Rediviva

Quasi come un volo di cicogna
Torno per far compagnia
A chi dorme
Sotto i giardini del terrore.
Di trasparenza in trasparenza
pattino verso il mio primo alone
Senza fragore
né rottura
cado nella pigra durata della sabbia.
Mi addormento sotto la trama dei ciuffolotti
– tutto il mio respiro per levigare la pietra
e mi scrivo a caso sulle lenti pareti
da dove s’appoggia il tempo.
Rediviva di mare in mare
di assenza in assenza
caviglie ravvivate dal sole e dall’incenso
Scavalco a casaccio le fortificazioni
d’assenzio e di rovi
per diventare epifania del Ritorno.

Questa domanda banale a cui nessuno ha una risposta definitiva: “C’è una scrittura femminile?”, Trova qui una fine di inammissibilità. La poesia di Nohad Salameh è Poesia, perché senza alcuna considerazione di genere, tempo, luogo. La poesia di Nohad Salameh avrebbe forse una patria, e sarebbe il mondo, un’epoca, e sarebbe l’eternità, un genere, e sarebbe quella di un’umanità che, a prescindere che sia di genere donna o uomo, sarebbe nel rispetto di ciascuno e nel riconoscimento di tutti. La poesia di Nohad Salameh opera semplicemente un’alchimia, una trasmutazione della realtà, proprio come la poesia. Questo è dunque il luogo del suo culmine.

Nohad Salameh, 2008 (wikipedia)

© Marilyne Bertoncini

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