#podcastfest – Stefano Modeo legge Rina Durante, da “La malapianta”

Rina Durante (1928-2004) è stata una scrittrice impegnata su vari fronti. Con il romanzo La malapianta (Rizzoli 1964) ha vinto il Premio Salento nel 1965.

*

Finito, disse:

«Tu vai dalla strada delle serre, io da dietro il frantoio.»

Giulia rimase sola e un poco pensò, ma cominciò subito a sentire fame. S’alzò per tornate a casa per la via delle serre.

Perché veniva il finanziere? Si chiamava Cimini Arturo, era veneto, aveva un mento lungo, la pelle rosea, gli occhi azzurri.

Teta voleva sapere perché veniva. Teneva la cassetta dei biglietti falsi sotto la cantina, e per questo guardava Cimini con sospetto.

Il finanziere odorava di saponetta e portava i pantaloni impeccabilmente stirati. Parlava con affabilità con Teta sotto il pergolato, si scostava per lasciare giocare Luigi e a volte gli rimandava la palla con un calcio, sorridendo. Solo a tratti lanciava un’occhiata dentro, dove tumultuavano parecchie teste di donne: troppe per capire quale di loro cercasse.

Teta lo guardava di sotto le lunghe ciglia rossicce, con un risolino, lanciando lunghi sputi, e studiando i suoi movimenti.

Se veniva per i biglietti, era fritto. Ma poteva darsi che venisse per Maria. E si capì che veniva per Maria, una sera.

A bruciapelo Cimini disse: «So tutto dei biglietti che tenete lì sotto. Ma non vengo per essi. È quella che mi interessa» e indicò la ragazza che in quel momento s’affacciava sulla porta.

Teta impallidì un poco e, col labbro che gli tremava leggermente, balbettò:

«Non ha niente all’infuori della camicia.»

«Non è questo che voglio. Se la tenga pure la sua camicia.»

«Se è così la prenda ora stesso.»

Il finanziere lanciò intorno uno sguardo pensoso con gli occhi che s’erano fatti improvvisamente più larghi.

«No, — disse calmo, — così non ci siamo. Vede, vorrei sapere cosa ne pensa lei» sussurrò a Teta.
«Ma come!…»

«No. — ribatté il finanziere con fermezza — Lo voglio sapere da lei. Vada dentro e dica che sto aspettando qui.»

Teta entrò in casa e pochi istanti dopo si udì un gran fracasso.

Aveva cominciato il discorso a Rosa, e Maria era lì che ascoltava.

«Il finanziere dice che vuole Maria.»

«Questa è buona!» esclamò Rosa, e lasciò di girare la verdura. Maria arrossì e tacque.

Gino da sopra l’intavolato rise.

«Non c’è da fare la risella» disse Teta senza alzare il capo. Poi riprese: «Quello lì fuori dice che vuole parlare a Maria.»

Rosa uscì di sotto il camino, rossa, spettinata, sporca di fumo. «Che vada» disse, e guardò Teta coi piccoli occhi porcini. Stettero un po’ a guardarsi, poi Teta incalzò:

«Che facciamo? Quello aspetta.»

Gino si sporse mezzo fuori e rise di nuovo, sguaiatamente. Prima che Teta riprendesse a parlare, Maria disse, rivolta a Gino:

«Lasciatelo perdere» poi chiese: «Cosa vuole farmi quello lì?»

«Ti sposa»

Maria inghiottì un paio di volte:

«E dove andrò se mi sposa?»

«Nel Veneto.»

«Nel Veneto!» sospirò Maria. Ma subito un’altra risata interruppe la sua riflessione.

«Ci sono le montagne» spiegò Teta .

«Ma cosa sono queste montagne?» gridò Luigi.
«Che cosa sono?» domandò Matia.

«Ti sposa — disse Teta — e ti porta dove abita lui…»
«Le montagne» fece Maria.

Luigi adesso gridava, rideva e pestava i pugni sull’intavolato.

S’era unito Antonio, il quale pestava anche lui coi pugni e facevano insieme un gran chiasso, mentre il finanziere aspettava inquieto sotto la pergola.
Giulia venne fuori dall’altra stanza e disse:
«Sposati, sposati!»

Teta guardò intorno, guardò Maria.

«Le montagne intanto… — cominciò — sono come le serre» disse Rosa.

«Come sono?» fece Maria.

«Sono verdi, come qui» disse Teta e si animò:

«Ci sono erbe e grano, anche più di qui, alberi alti, bestiame.»

Maria ascoltava un po’ pensierosa.

Rosa disse:
«Le hai viste in cartolina, sono così, come sulla cartolina. Ce ne deve essere una sopra la cassa.»
Arrivò la cartolina, portata da parecchie mani, nelle mani di Maria. Tutti tacquero, mentre Maria fissava la cartolina dove c’erano le montagne verdi, una casetta in basso e una mucca enorme col campanaccio, fra i fiori. Altre volte aveva guardato simili paesaggi, ma tutto era come appiattito e in primo piano. Ora la montagna prendeva proporzioni grandiose, c’erano davvero alberi e alberi, e infiniti punti oscuri che erano pascoli, pianori, fossati che moltiplicavano indefinitamente la reale consistenza della scena. In un angolo c’era un gruppetto di pecore, e si vedeva il pastore piccolissimo col suo minuscolo bastone. Maria socchiuse gli occhi e vide talmente un pastore con le sue pecore bianche.
Vide che questo mondo chiamato montagna esisteva veramente, e non che le importasse o ne precisasse i contorni, ché anzi quella confermata esistenza la gettava in una piacevole incredulità, in cui la montagna assumeva un aspetto ancora più vago e irreale.

Gino di sopra gridò:

«La zita, la zita, guardate la zital»

Allora Maria si scosse, lanciò contro Gino la cartolina che volteggiò e scivolò di traverso sotto il letto, e uscì.

Dentro, il chiasso divenne assordante. Si erano messi a gridare anche i piccoli.

Rosa disse a Teta cogli occhi:
«Guarda un po’ che fanno». E Teta s’affacciò sulla porta e vide il finanziere accovacciato per terra che tracciava segni con uno stecco, e Maria che guardava attentissima la linea aguzza delle montagne apparire e scomparire nella polvere.

da Rina Durante, La malapianta, a cura di Massimo Melillo, introduzione di Antonio Lucio Giannone, AnimaMundi, 2020

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