«Le distese di campi del mio lontano Marocco». Hanane Makhloufi, poeta italiana di origini marocchine

di Valentina Di Cesare e Viviana Fiorentino

Latitudini/Latitudes

Hanane Makhloufi, nata in Marocco, si trasferisce a Torino nel 2000 all’età di sei anni. Ha studiato Economia e Statistica all’Università degli Studi di Torino. La sua produzione letteraria inedita varia dalla narrativa alla poesia. Partecipa a diversi concorsi letterari tra cui “Tra un fiore colto e l’altro donato” di cui risulta finalista e inserita nella raccolta dell’edizione 2017, e “Concorso Guido Zucchi” di cui risulta nuovamente finalista con l’inserimento inoltre nella raccolta dell’edizione 2019. Rendez-Vous è la sua prima raccolta di poesia (Europa Edizioni 2021).

Voglio sentire
come un perdono
il mio urlo
in quel giorno
dove la memoria si ferma.
Com’è fresco il dolore
e cosa nasconde!
Ho sorpreso i tuoi capelli bianchi
frugare nella mia giovinezza
e cercare
forse
il domani in cui svanisci.
Ma dove cammino
esiste solo il mio tentare
e questo cuore debole.
A braccia conserte
lotto
per tenere vivi
gli alberi d’ulivo
dove ho sepolto
i giorni del mio crescere.
Nella tua voce
riconosco la gioia
e la tristezza
e sento
che il mio domani
non varrà mai quanto il canto del tuo ieri.


Cosa ho fatto di me
sembri chiederti
ogni volta che mi guardi,


cosa ho fatto di me
mi chiedo
ogni volta che chiudi gli occhi.


-papà

Valentina e Viviana: La lingua d’adozione (in questo caso per te l’italiano) può diventare lingua dell’anima? 

Hanane Makhloufi: La lingua d’adozione può diventare la lingua dell’anima e questo fenomeno accade molto spesso nelle persone che migrano.
La necessità di piantare le radici nasce dal bisogno primario dell’essere umano di trovare la propria casa. Secondo me questo passaggio è fondamentale per comprendere come mai la lingua di adozione diventa la lingua dell’anima per persone che migrano. Abitare significa trovare casa, dimorare sulle tracce del proprio vivere dove ognuno ripercorre le vite degli antenati. Per questo, in una qualche maniera, abitare non può essere distinto da vivere, poiché è vivendo che si dà forma al proprio abitare e a ogni passo si lasciano le tracce del proprio vissuto.
Per questo abitare è vivere, in quanto ogni momento vissuto dà forma allo spazio della propria casa e comunità. Nel concetto di abitare a me piace includere anche la facoltà del linguaggio, perché è la lingua con cui siamo capaci di pensare, amare, raccontare e vivere che crea la prima immagine di casa.
Nella mia esperienza personale, sono arrivata in Italia all’età di sei anni, non ero capace né di comprendere né di comunicare con le persone che avevo attorno. Il momento in cui ho sentito di essere a casa è stato quando sono riuscita a parlare senza difficoltà con i compagni di classe.
La sensazione che si prova è proprio quella di essere letteralmente a casa, un posto sicuro in cui ti riconosci e ciò che ti circonda in qualche misura ti appartiene e viceversa.

Valentina e Viviana: Quali autori e autrici sia della tradizione italiana/europea che della tradizione marocchina/arabofona hanno influenzato e arricchito la tua esperienza come scrittrice?

Hanane Makhloufi: Devo essere sincera e ammettere che la mia passione per la lettura è iniziata molto più tardi della mia scrittura. Ho iniziato a scrivere quando ho fatto della lingua italiana la mia casa, e ho iniziato ad affinare le opere letterarie durante la scuola media. Mentre la lettura ha iniziato a influenzare la mia scrittura verso i vent’anni. Gli autori a cui tutt’ora mi rifaccio appartengono principalmente al ‘900.
Avendo passato un anno in Francia, la letteratura francese è per me un bacino importante da cui trarre ispirazione e in cui trovare uno specchio emotivo. Autori come Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Louis-Ferdinand Céline sono come maestri e nella mia libreria occupano una parte importante. Nel tempo ho poi scoperto il mio autore, Fernando Pessoa, che con tutti i suoi libri è riuscito a dare forma ai miei sentimenti e pensieri.
Nella rosa delle mie letture troviamo anche autori italiani come Giuseppe Ungaretti, Alda Merini, Dacia Maraini, Cesare Pavese, Italo Calvino, Primo Levi, Alberto Moravia, come dicevo tutti autori del ‘900.
Della letteratura araba ho letto molto meno, ma fra questi autori a me molto cari e a cui devo sicuramente una particolare sensibilità nella scrittura sono Tahar Ben Jelloun, Nizar Qabbani e Ghassan Kanafani. La mia produzione letteraria a un certo punto si è concentrata sulla poesia, per cui ogni autore in qualche modo ha influenzato la mia sensibilità.

Valentina e Viviana: Ti capita di pensare poesie di arabo e poi tradurle in italiano? E ti capita il contrario? Quali sono le sfumature più difficili da rendere in traduzione per ambedue le lingue?

Hanane Makhloufi: Fino a qualche tempo fa non ho mai pensato poesie in marocchino. Purtroppo, l’arabo non è una lingua che conosco, ma parlo il marocchino che è una sorta di dialetto. Ultimante a seguito di un avvicinamento alla mia cultura d’origine, ho iniziato a lavorare a qualche testo con alcuni termini in marocchino, ma non testi completi in lingua marocchina.
Mi è capitato di provare a tradurre in marocchino qualche poesia scritta in italiano, ma al momento risulta difficile. Sicuramente è più complicato tradurre un testo dal marocchino all’italiano, perché esistono modi di dire e terminologie che si faticano a rendere nella traduzione italiana; ma al momento non sto facendo nessun tipo di studio di traduzione quindi non posso dire di più.

Valentina e Viviana: Quali sono i “rendez-vous” di cui parli nella tua raccolta di poesie? È un rendez-vous quello con la lingua italiana?

Hanane Makhloufi: In Rendez-vous parlo degli incontri a cui la vita ci porta, sia essi emotivi, fisici che immateriali, ma anche incontri con ciò che ci manca. Quindi l’incontro della nostra solitudine, delle mancanze, delle nostalgie e così via. Sono tutti momenti di riflessione con il nostro entourage, un’analisi dell’importanza che hanno e del valore che conferiscono al nostro vivere.

È un “rendez-vous” senz’altro anche quello con la lingua italiana perché da quel momento la mia vita è cambiata e ha seguito un percorso, che non so dire se avrebbe preso nel caso non fossi venuta in Italia. Nella poesia che segue, tratta appunto dalla raccolta, si riesce a percepire l’incontro più importante (per me) e a concretizzare il concetto di casa della prima domanda che mi hai fatto. Grazie alla lingua italiana, grazie alla scrittura e grazie alle poesie riesco a esistere, e quindi a trovare casa.

Pagine

Vaste

che ricordano le distese di campi

del mio lontano Marocco.

Aperte

che accolgono il dolore

e il non dolore.

Intime

in cui ci si abbandona

e si può piangere

di un pianto eterno

e senza lacrime.

Pure,

in cui si può esistere.

In cui riesco a

esistere.

Valentina e Viviana:  Com’è nata in te l’impulso di scrivere? Come hai intrapreso questa strada?

Hanane Makhloufi: Quando ho preso padronanza della lingua italiana ho iniziato timidamente, come tanti a quell’età, a scrivere sul diario personale. Da quel momento in poi la scrittura ha fatto parte della mia vita e tuttora è una delle attività che più mi impegna.
Non ho mai collegato il mio bisogno di scrivere con l’esperienza della mia vita, ma negli ultimi tempi ho iniziato a riflettere più profondamente sulle mie origini. Come ti dicevo, mi sono trasferita in Italia all’età di sei anni. Prima di questo i miei genitori, con una parte della famiglia, si erano già trasferiti, quindi io e altre due sorelle siamo rimaste in Marocco con i nonni materni per tre anni circa. Vi racconto questo perché ultimamente sono arrivata alla conclusione che il bisogno vivo che ho di scrivere derivi da questo “trauma”, se così lo vogliamo chiamare. Essendo di carattere una persona molto introversa, ho sentito la necessità di dare un luogo ai miei pensieri e alle mie emozioni.
Mi piace pensare che non sia stata io a intraprendere questa strada, ma che sia stata la scrittura a scegliere me. Non mi sono mai sentita una scrittrice, e ancora oggi mi è difficile pensarlo del tutto. Piuttosto, mi è del tutto semplice pensare che la scrittura sia una compagna di vita. Come una persona a cui raccontare e affidare ogni pensiero, una funzione non solo di sfogo ma di effettiva liberazione da qualcosa. 

Valentina e Viviana: Scrivi mai in arabo? Se sì, cosa? E se no, perché?

Hanane Makhloufi: Non scrivo mai in arabo, come ti dicevo è una lingua che non conosco. In marocchino sì, qualche volta ho fatto dei tentativi ma al momento sono solo prove e nulla di concluso. Per cui in realtà la risposta è più no che sì. Le motivazioni penso siano molteplici: intanto il marocchino è una lingua parlata e non una lingua scritta, quindi, è difficile traslitterare le parole e dargli una forma poetica o narrativa che sia. Poi, come tante persone che hanno migrato nella fascia di età cruciale per l’apprendimento linguistico, io sento come lingua madre l’italiano anche se a tutti gli effetti è la mia lingua di adozione. E poi se dovessi scrivere in marocchino quale sarebbe il mio pubblico? La popolazione marocchina in Marocco, o i ragazzi di origine marocchina che vivono in Italia? Io penso di essere più vicina ai ragazzi di origini marocchine che vivono in Italia come me, ma non è detto che sappiano parlare il marocchino, e se fosse non è detto che parlino il marocchino che parlo io. Purtroppo, o per fortuna non saprei dire, la lingua araba è una lingua che non si parla nei contesti familiari e quindi nel mondo arabo ogni paese ha il suo dialetto, e a sua volta ogni dialetto ha delle sfumature a seconda della zona del paese in cui ci si trova. Pertanto, è molto più complessa l’idea di una lingua marocchina e non è semplice concretizzarla in opere, almeno per me e almeno per ora.

© Hanane Makhloufi

© Valentina Di Cesare & Viviana Fiorentino

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