Milena Milani, Il geloso ama sino alla morte (di lei)

A cura di Alessandra Trevisan

Vi proponiamo oggi un pezzo di Milena Milani in collaborazione con Maria Ester Nichele e ABCVeneto.

La nostra parla di “femminicidio” prima che questo fosse il termine utilizzato, nel nostro Paese, per definire gli atti di violenza compiuti dagli uomini contro le donne. Lo fa all’inizio degli anni Ottanta, in un suo articolo di costume, raccolto poi nel volume Umori e amori (Rusconi, 1982). Il suo racconto è lucido, meditato. Colpisce soprattutto che Milani si concentri sull’indifferenza comune dei lettori di cronaca, in un tempo di passaggio come l’inizio di quel decennio in cui si affaccerà anche il femminismo della differenza. Certo, lei si riferisce al popolo, alla gente comune. C’è in lei, uno sguardo non politicizzato, che resta al centro del discorso: il punto di vista è chiaramente espresso, con una chiusa che riporta a una dimensione culturale-cattolica che possiamo aspettarci da quest’autrice in quegli anni. Non schierandosi (non è un’autrice militante) Milani comunque è sempre e sarà sempre schierata.

Le modalità con cui le donne vengono aggredite oggi sono tristemente cambiate: sappiamo come si siano moltiplicate le violenze e in quali modi disparati gli uomini agiscano (anche usando violenza psicologica alle vittime, una tipologia che Milani non coglie). Sappiamo che la lotta ai femminicidi è una priorità dell’Europa, come ci insegna «Internazionale». Questo tema di attualità era già riconosciuto nel 1980. Forse ciò che stupisce è la voce non politicizzata e autentica di un’intellettuale che parla, fuori dal coro, e che utilizza senza dubbio una prospettiva pasoliniana per parlare di rapporti umani: quando menziona il fatto che le relazioni siano la faccia della “società dei consumi” non esprime una novità per l’epoca ma, con uno sguardo al futuro, certamente un motivo di attualità sotto molteplici aspetti.

Il corsivo nel testo è sempre nostro e non dell’autrice.

***

Di solito hanno il porto d’armi, la pistola regolarmente denunciata, sono mariti la cui moglie ha un amante, oppure uomini traditi dalla loro compagna; insomma chi ci rimette è quasi sempre la donna.

A Los Angeles, la più bella ragazza d’America è stata uccisa a rivoltellate dal marito: la giovane attrice Dorothy Stratten, una delle protagoniste del film E tutti risero del regista Peter Bogdanovich, che ha inaugurato la 49a Mostra Internazionale del Cinema a Venezia, era comparsa nuda su «Playboy». Stava per divorziare, ma il marito-padrone non voleva rinunciare a lei. A Napoli, il diario di un medico, sconvolto perché la sua ragazza voleva sposare un altro, ha rivelato l’atroce verità su tre cadaveri: il medico stesso e i due giovani, invitati nel suo appartamento, con il pretesto di festeggiare il prossimo matrimonio. E ancora, due uomini del Nord e del Sud hanno scaricato la loro gelosia in quei colpi micidiali che hanno fatto fuori, a Torino, una donna, con la quale un imprenditore aveva da tempo una relazione, e a Enna, in Sicilia, un uomo, amante della moglie di un coltivatore diretto che non sopportava l’infedeltà coniugale.

Il copione ormai è sempre lo stesso, ogni giorno leggiamo fatti del genere, tragedie che sconvolgono intere famiglie. La gelosia, questo sentimento misterioso e irrazionale, sembra avere ripreso quota sotto ogni latitudine. I maschi riconfermano il loro torbido amore, o meglio il loro bisogno di possesso nei confronti di chi hanno accanto. Se l’amata li delude, se li tradisce, se vuole andarsene e rifarsi una vita, la canna di una pistola è subito presente, con il fascino orrido, un foro da cui esce il proiettile mortale. Ma come fanno a centrare sempre il bersaglio? Dove si allenano questi mariti, questi uomini ossessionati dal terrore di perdere la loro proprietà, la loro donna, la moglie o la compagna che dichiarano di amare follemente, sino alla morte (di lei)? Me lo sono sempre chiesto, meditando su queste notizie di cronaca, che la maggioranza della gente scorre quasi con indifferenza, annoiata dal fatto che si ripetano più o meno uguali.

Possibile che tutti sappiano sparare così bene, che non sbaglino mai? (…) Forse con (…) piccole menzogne quotidiane, con (…) episodi di volgarità leggera, direi frivola, i matrimoni andrebbero meglio, le unioni non si risolverebbero dei delitti, nei drammi a forti tinte, con gli spari finali? Io personalmente detesto l’inganno, i rapporti intessuti di bugie, l’amore e la sessualità li vorrei intimi e profondi, sempre riferiti a due creature, non allargati (…) ai rapporti di gruppo, sottomessi alle esigenze della società dei costumi. Anche la gelosia ci sta bene, ma non esasperata, non diventata malattia. Credo che ci voglia misura, che negli affetti siano necessari comprensione e controllo.

Che soprattutto ci si ricordi che la vita è sacra, che c’è anche un comandamento che dice: «Non uccidere».

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