♫ La poesia di Brianna Carafa

‘Ancora nascere poeta’: scoprire i versi di Brianna Carafa
di Alessandra Trevisan

La poesia italiana scritta dalle autrici, negli anni Cinquanta, sembra essere particolarmente cara al nostro gruppo: una poesia andata perduta nelle maglie del tempo eppure testimone di un secondo dopoguerra molto acceso dal punto di vista letterario. Il caso di Brianna Carafa ci ha incuriosite come quando si cerca qualcosa di prezioso dentro a un vecchio armadio. La ripubblicazione per Cliquot de La vita involontaria nell’estate del 2020 (qui) ha dato effettivamente spazio alla dovuta riconsiderazione di un’autrice caduta nel dimenticatoio di trame editoriali e intellettuali. Chi fosse Brianna Carafa è presto detto cercandone le poche tracce che esistono sul web e leggendo l’approfondita presentazione che ne fa Ilaria Gaspari per il volume riedito.
Come Ortique ci piace questo dialogo di intenzioni, allora siamo andate a scovare le sue Poesie, che furono pubblicate nel 1957 dall’editore Carucci di Roma. Una raccolta unica e mai più ripresa, andata fuori catalogo; forse l’unica esperienza di poesia di Carafa fatta eccezione per un archivio che potrebbe parlare.
Oggi come Le Ortique presentiamo anche il nostro podcast ♫ incentrato sulla raccolta, con musica di Davide Valecchi, poeta e fine compositore di elettronica che ringraziamo per il suo dono.

Brianna Carafa poeta ci ha incuriosite e stupite per diverse ragioni e non soltanto per l’oblio che circonda la sua opera. È un altro di quei casi centrali della nostra letteratura di autrice nata poeta prima che romanziera, di autrice che tenta la propria strada in versi prima di dedicarsi alla prosa. Curiosa questa caratteristica per le donne che, in quegli anni, scelsero la letteratura come carriera: sembra la cifra di un mondo che stava ricostruendo il proprio volto. La poesia è la strada di Milena Milani e Livia De Stefani, ad esempio; soprattutto la poesia pare avere avuto un valore diverso da quello che le attribuiamo oggi, probabilmente più presente negli scaffali dei lettori. La poesia era forse quanto una scrittrice che aspirasse a fare quel mestiere sentiva la necessità di affrontare per darsi poi alla narrazione: una sorta di prova interna, un tacito esame del sé e nel mondo intellettuale.
È chiaro però – senza andare troppo a fondo della questione – che ciò era permesso soprattutto a chi conosceva, frequentava e apparteneva a un certo ambiente intellettuale nell’Italia del tempo, un ambiente che favoriva la carriera. Non una regola, questa, ma una verità che si ripete. Infatti Carafa, negli anni Cinquanta, è nel circolo di Angelo Maria Ripellino, fine traduttore e poeta, che poco dopo quel momento «ricomincia a pubblicare poesie e tiene riunioni di intellettuali ed artisti nella casa di via Tommaso Salvini. Fanno parte di questo gruppo Brianna Carafa, Mario Trevi, Vincenzo Loriga, Giacoma Limentani, Gianfranco Maselli, Mario Brelich e gli amici pittori del gruppo Forma I» (dalla prefazione alle Poesie di Ripellino edite da Einaudi nel 1980). Grazie a un articolo dedicato al fotografo Paolo di Paolo, apparso su «Harper’s Bazaar» e a cura di Eugenio Giannetta (qui), scopriamo che Carafa, dunque, era vicina al nucleo della rivista sperimentale di poesia «Montaggio»: quello era il mondo da lei frequentato, che avrebbe poi aperto le porte alla sua storia.
Lei viveva all’interno di un paesaggio in fermento che le restò vicino nel tempo, dal momento che, nel 1968, prenderà parte alla giuria del “Premio Villa Benia” a Rapallo (Genova) destinato alla narrativa d’esordio di autori giovani, insieme a Giuseppe Bufalari, Alfonso Gatto, Guido Petter, Carla Poesio, Vasco Pratolini e Michele Prisco.
Forse è l’impulso della poesia a portarla verso altri territori, fino al Premio Strega nel 1975.

Uno sguardo al catalogo Carucci è d’obbligo, se non altro per nominare chi, oltre a lei, in quegli anni, pubblicava per l’editore romano. Ad esempio troviamo le poesie di Jean Pierre Jouve, a cura di Nelo Risi e con un testo di Ungaretti; opere con prefazioni di Saba e Francesco Flora.
Le donne che pubblicavano per Carucci sono pochissime ma la “collana Poesia” sembra prendere avvio proprio nel 1957 con Brianna Carafa perché il suo volume è il n. 1 della serie, per desiderio — si ipotizza — di Gabriella Carucci Viterbi (1926-2019), moglie dell’editore e anche lei poeta che pubblicava lì i propri versi nel 1958 con il titolo Saudade. Quello è l’anno in cui ancora lei curava i Poemi delle madri della poeta e attivista cilena Gabriela Mistral. L’interesse per il Sudamerica, per l’Africa e per altre letterature è centrale per Carucci, che coinvolge ad esempio la traduttrice Cristina Brambilla, molto attiva in quegli anni. L’episodio Carafa sembra essere unico e isolato, senz’altro da indagare oltre per comprendere quali movimenti nascosti concedano fortuna o sfortuna alle autrici di cui, nel tempo, abbiamo perso le tracce.

***

La lingua poetica di Brianna Carafa: cristallina e risonante
di Chiara Pini

La poesia di Brianna Carafa disarma chiunque si aspetti di trovarvi scarti sintattici portatori di messaggi nascosti, o altri significati rispetto al valore delle parole scelte dall’autrice. È una poesia cristallina, che racconta esattamente quanto vi è scritto: il lettore non diventa padrone dei versi di Brianna Carafa, ne rimane spettatore immerso, coinvolto, ma pur sempre guidato dall’autrice. La poesia di Brianna Carafa è ricca di verbi, di verbi definiti e saturati negli argomenti che ne vanno a completare il loro significato: è una poesia che narra, che racconta quello che accade per immagini in movimento, talvolta utilizzando espedienti di tradizione classica come l’uso della similitudine, (così in Non appena mi muovo, o in Vita, che figlia dolcissima; in Non per volontà si compie, o in Io ti posso chiudere il volto, e non solo); come il ricorso alla metafora (si leggano ad esempio Dentro, Quando tu ed io, S’io mi curvo su di te la notte,…); come l’uso di forme letterarie latinegginanti (Sèpara) o desuete (i greggi). Ma allora cosa rende la poesia di Brianna Carafa potente? Quali e dove sono i sottintesi nel quale il lettore si immerge?
La forza dei testi di questa raccolta sta proprio nella centralità del verbo intorno a cui tutto ruota: è il verbo che splende nel suo significato, dichiarato con forza e omaggiato da circostanti ed espansioni che ne amplificano il senso. Il verbo, se non è centrale e aggregante, diventa presenza circolante e circolare in tutto il testo. Così accade nei primi due componimenti della raccolta:

Dal buio, dal sangue,
dal luogo d’origine
dove si vuole
che il seme germogli
o sterile chiuda giardini non nati,
ti espandi tu eletta
ad esistere forma
prodigiosa e dolente con l’intima grazia
che accresce la vita
e l’infinita pazienza
che hanno tutte le cose
di giungere al colmo,
presenza d’amore.

 

Non appena mi muovo
è per avvicinarmi a te
con lunghi giri
ed apparente distrazione
come fa l’uccello in cielo
e in terra l’animale
quando cerca cibo.
Non chiamare:
la tua voce può spezzare
nel labirinto il filo:
non disturbare la nostra lentezza naturale.
Giungo a te pianissimo
per sopportarti tutto.

In Dal buio, dal sangue tutto dipende dal ti espandi del v. 6: un verbo centrale per posizione e per significato. Tale posizione del verbo narra quanto accade non solo attraverso il significato ma anche servendosi di una rappresentazione del reale: l’espansione, la diffusione di un elemento, infatti, avviene a partire da un centro, per poi andare a coprire e infondere ogni cosa. Ed è quanto Brianna Carafa costruisce magistralmente con le parole di questo testo. L’incipit, Dal buio, dal sangue, dal luogo d’origine, vuole definire la materialità e l’eccezionalità di questa genesi, celandone, tuttavia, l’agente generante, come ci racconta l’impersonale dove si vuole/ che il seme germogli. Non ci è dato sapere chi animi e, se non in chiusura, nemmeno chi prenda forma.  Il significato di “espandere” è attribuibile anche alle sostanze volatili ed è così che si diffonde questo tu, solo svelato alla fine, la presenza d’amore. L’amore, sostanza eletta, si diffonde da un centro, a coprire ogni cosa, ad aumentare la vita, a prendere forma per opera di una volontà celata ma presente, a divenire essenza di pienezza e di grazia.
Ma se operiamo un ragionamento sulla natura pronominale del verbo ti espandi, potremmo addirittura arrivare all’agente generante intrinseco all’amore.
L’uso di verbi pronominali è assai frequente in Brianna Carafa. Tali verbi esprimono situazioni, atteggiamenti, sensazioni che si manifestano nella persona in forza di una causa che risiede nella persona stessa, non sono né attivi, né passivi: esprimono una terza prospettiva, quella media, in cui la persona coinvolta è contemporaneamente agente e paziente. Tra essi vi sono verbi in cui la causa è volontaria, altri in cui la causa è indipendente dalla volontà del soggetto. Nella raccolta dei testi di Brianna Carafa troviamo nella quasi assoluta totalità verbi pronominali in cui l’agente determina in modo chiaro il proprio agire: in riferimento al ti espandi, dunque, potremmo concludere che è l’amore che intenzionalmente genera e alimenta sé stesso.
In Non appena mi muovo, è ancora più evidente la funzione dei verbi pronominali di cui abbiamo appena parlato. Non appena mi muovo/ è per avvicinarmi a te. Questa è la volontà che l’autrice narra nel testo, spiega il suo muoversi verso l’altro, la modalità e i motivi che la spingono; al posto di avvicinarmi avrebbe potuto scegliere altre forme: è per avvicinare te, per raggiungere te, per venire a te, per arrivare a te. Avvicinarmi, invece, oltre a conservare la forza del significato di un movimento che porta ad una vicinanza, ha in sé l’io agente e causativo e apre lo sguardo alla coppia, all’io e al tu, tema altrettanto caro e trasversale in Brianna Carafa.
Per quanto riguarda l’uso dei verbi, rispetto al testo precedente, qui riscontriamo una diversa forza aggregante del verbo: non più energia generante dal centro, ma flusso creatore e circolare. Il verbo guida la narrazione fin dal principio ed è teso a confermare e ad approfondire l’intento narrato nei primi due versi:

Non appena mi muovo
è per avvicinarmi a te

Il senso della poesia Non appena mi muovo si esprime nei primi e negli ultimi due versi, tutto il resto narra il come questo avviene e le tensioni di questo avvicinamento:

Non appena mi muovo
è per avvicinarmi a te
(…)
Giungo a te pianissimo
per sopportarti tutto.
 

Nel mezzo, attraverso la similitudine, l’autrice conferma la forte intenzionalità del suo agire, la precisa finalità, dalla quale chiede di non essere distratta: è un congiungimento voluto, desiderato, frutto di una necessità vitale, per una finalità che è amore e condivisione.
Da sottolineare nei componimenti di Brianna Carafa anche l’uso abbondante di pronomi, numerosi quelli  in forma atona, sia liberi che clitici: all’io si contrappone con alta frequenza un tu che non ci è mai dato di conoscere. E che forse essa stessa non conosce: in questo ritroviamo la psicanalista, colei che si pone dinanzi all’altro come a sé stessa. Alla contrapposizione tra l’io e il tu di alcuni testi, come in quello appena analizzato o come in Io ti posso chiudere il volto, in cui l’io è sempre sostegno per il tu, si alternano altri componimenti in cui dominano le angosce  dell’io o di un tu che in realtà è un io universale come in Lascialo entrare e in Dentro.
E credo che proprio in Lascialo entrare vi sia tutto il mistero dell’incontro tra l’io e il tu universali:

Lascialo entrare:
lascia cercare al forestiero
nei tuoi occhi l’immagine di sé
che tu portavi e non volevi dargli.

 

© Alessandra Trevisan e Chiara Pini

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