Laura Beatrice Oliva: spirito irriverente, ironico e audace della Napoli di metà Ottocento

di Chiara Pini

Rubrica Diacronie – Una rubrica a cura di Alice Girotto e Chiara Pini: incursioni nella storia pre-novecentesca per riscoprire artiste, musiciste, scrittrici e poete che, precorrendo i tempi, si sono rivelate delle vere e proprie pioniere.

Alta e snella, con bianchissima e finissima carnagione, con lineamenti gentilissimi, con grandi e neri occhi, fresca di colorito, bionda alla chioma, (…) Laura Beatrice Oliva sembrava «per fermo nata in Paradiso» di dove fosse «venuta in terra a miracol mostrare». E così divinamente bella, senza che ne avesse la coscienza, ignara delle gioie della vita, ella passava i suoi giorni tristi e dolenti al capezzale del padre diletto, indicandogli insieme con la madre le più tenere e affettuose cure, e cercando in certe ore di alleviargli le gravi pena con la lettura dei classici prediletti e degli scrittori più in voga.[1]

Uno dei temi più dibattuti in materia di donne nella storia dell’arte è l’accostamento di queste a uomini di cui spesso sono mogli o compagne. L’argomento infastidisce chi crede che il valore di tali donne travalichi quel tipo di relazione poiché, probabilmente, quell’unione non nasce da fini utilitaristici, bensì dall’incontro di due anime di pari entità e capacità che si riconoscono, si comprendono e operano con intenti comuni. La rigidità di una visione sessista ha invece troppo spesso minato e svilito il valore di numerose artiste che, pur essendo riconosciute nel loro tempo, sono poi cadute nell’oblio perché considerate poco degne di essere ricordate. Se dunque è vero che molte di loro non dovrebbero trovare le ragioni della propria notorietà in mariti ed amanti, è altrettanto veritiero che ciascuna di loro è stata capace di portare il proprio messaggio grazie anche agli stimoli e all’educazione ricevuti nell’ambiente familiare nel quale sono vissute e, talvolta, per alcune, grazie a padri che hanno in loro confidato ed alimentato le inclinazioni delle proprie figlie.

È questo il caso di Laura Beatrice Oliva: il desiderio di recuperare questo nome dall’oblio delle dimenticate è da ricondurre a motivazioni storiche e valoriali. Se la sua arte, infatti, è ormai distante dal nostro sentire, se il linguaggio da lei utilizzato è figlio di un tempo passato, non possiamo dire altrettanto dello spirito che la animò e dei contesti familiare e sociale che la supportarono, nonostante il genere, nonostante fosse madre di una più che numerosa famiglia, nonostante fosse moglie di un uomo assai noto. La figura paterna fu determinante per la sua formazione: le biografie dell’epoca riportano l’importante sodalizio intellettuale tra i due. Il pensiero vola ad altre vite e ad altre storie di padri e figlie come a quella di Gianna Manzini[2] (di cui abbiamo parlato e approfondito qui) o di Artemisia Gentileschi: i contributi dei genitori di queste non si fermarono all’educazione artistica ma le indirizzarono all’indipendenza e alla libertà, in contesti storici e sociali che richiedevano altro ad una donna.

Laura Beatrice Oliva fu una poetessa e attivista del Risorgimento italiano, nata a Napoli il 17 gennaio 1821 da Rosa Giuliani e dallo scrittore, classicista e docente di Letteratura e Filosofia Domenico Simeone Oliva.  Il padre, dapprima poeta di corte durante l’era napoleonica, prese successivamente le distanze dal regime borbonico e fu accusato di cospirazione, dopo gli insuccessi delle rivolte dei costituzionalisti nel marzo 1821. In seguito a ciò, Domenico Simeone Oliva fu costretto, insieme alla sua famiglia, all’esilio e riuscì a tornare in patria solo per l’intervento diplomatico di Maria Amalia duchessa d’Orleans. L’ambiente familiare di Laura Beatrice Oliva era dunque molto vivace sia dal punto di vista culturale che politico: l’esperienza che, fin dalla più tenera età, Laura Beatrice Oliva visse in prima persona, per le conseguenze derivate dalle idee difese con forza dal padre, la portò a maturare un’alta coscienza civile e uno stretto rapporto con il genitore che, oltre ad esserle padre divenne maestro, amico, compagno di imprese. Fu un legame profondo, governato dall’amore filiale e dalla riconoscenza dimostrata anche nelle cure che Laura Beatrice Oliva seppe dare al padre infermo fino alla fine dei giorni di quest’ultimo, nel 1842. Al dolore di questa morte si aggiunsero successivamente le pene per quella prematura di tre fratelli. Ciononostante, Laura Beatrice Oliva non perse mai l’entusiasmo e l’energia nell’affrontare la vita.

La scrittura si rivelò molto presto una grande passione: a dodici anni scrisse i primi versi e a quindici, a Napoli, era già riconosciuta come una poetessa.

A testimonianza di tali riconoscimenti, l’allora assai nota poetessa Rosa Taddei nel 1837 compose una poesia a lei dedicata, che pubblicò su Le ore solitarie, il giornale fondato e diretto da Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888). Tale poesia fu galeotta e Rosa Taddei il cupido dell’amore fortunato tra Laura Beatrice Oliva e Mancini. In realtà, la relazione tra i due giovani non fu subito ben accetta dalla famiglia Mancini, che considerava la ragazza non adeguata al rango del figlio. Egli era un affermato avvocato, amante delle lettere e delle arti che, per affinità elettive, riconobbe presto in Oliva la compagna di una vita.

Questa ostilità familiare consumò entrambi producendo due differenti esiti: Mancini riversò le sue pene in malattia, Laura Beatrice Oliva scrisse quelli che vengono definiti da Mamiani i versi più schietti e lirici della sua produzione e che andranno poi nella raccolta Ricordi d’amore, dedicata al marito e compresa in Patria e amore – Canti –, pubblicata per la prima volta nel 1861. Tuttavia, Oliva non permise all’astio o al rancore di prendere il sopravvento nelle sue vicende amorose, come ci racconta il sonetto La partenza:

Alla tua madre amante, al padre antico,
   Vanne, o lor solo amor, gloria e desio,
   Vanne, del ciel dolce un sorriso amico
   La via t’infiori al vago suol natio.
 
 Mentre t’affretti al tuo bel colle aprico,
    L’aura col suo sospir sol mova il rio;
  Ma tutto taccia in men ch’io no ‘l ridico,
   Quando udrai da’ quei labbri: «O figliuol mio!…»
 
   Amore!… anch’esso udrà quei cari accenti,
    Ma intento e muto ei non ti faccia il core
    Batter per altri oggetto in quei momenti.
 
 Ma quando al rieder tuo si apprestan l’ore,
   Ascolta deh le sue parole ardenti,
E guida sol sia de’ tuoi passi Amore!

 

Alla fine, l’amore tra i due vinse: si sposarono nel 1840 con la benedizione di entrambe le famiglie e diedero alla luce undici figli. Le poesie di Oliva dimostrano come il suo impegno andasse ben oltre la famiglia. Insieme al marito, già giurista, avvocato di Garibaldi e impegnato in politica nella sinistra democratica, partecipò ai moti del 1848. La qual cosa li obbligò a lasciare Napoli per Torino che divenne la loro città fino al 1861, quando poterono rientrare a Napoli. Gli anni torinesi furono ricchi di occasioni: entrambi si inserirono nell’ambiente culturale della città, aprirono la propria casa, e i loro salotti divennero occasione di incontro e di scambio tra gli intellettuali del tempo. La fama di Laura Beatrice Oliva attraversò la penisola intera, tanto che la soprannominarono la Corinna italica, a ricordo dell’opera di Madame De Staël (1807). L’impegno civile e patriottico non rimane solo un affare di penna:

A Torino prese bella parte alla Fondazione della scuola per le allieve maestre e si dedicò sempre al miglioramento dell’istruzione popolare. Consacrandosi all’educazione della famiglia non lascio però trascorrere nessuna occasione in cui fosse debito di cuore elevare la voce, senza che la musa della libertà facesse udire il suo canto.

Così si dice nella biografia a lei intitolata e scritta dal politico e pubblicista Medoro Savini nel 1869: questo testo è un’importante fonte per comprendere l’importanza di Oliva oltre che una testimonianza di quanto questa donna avesse lasciato ai suoi contemporanei.

Gli ideali patriottici e risorgimentali di Laura Beatrice Oliva la portavano a guardare anche oltre i confini della neonata Italia e se non fu censurata, probabilmente, fu per il suo spirito allegro e canzonatorio con cui affrontava i temi politici, animosità che le procurava il plauso di molti. Un esempio è il canto Alla Polonia (1863), a sostegno dell’insurrezione polacca contro la Russia: fu pubblicato sui giornali democratici ma causò non poche tensioni al Governo italiano. Il Ministro agli affari esteri, temendo un possibile incidente diplomatico, le intimò di censurare alcuni versi che alludevano all’occupazione di Roma da parte della Francia. E, a tal proposito, Medoro Savini scrive:

Laura Mancini si oppose e tanto seppe insistere che la poesia alla Polonia fu declamata fra immensi applausi al teatro Carignano come la mente e l’anima di Laura l’avevano dettata.

 Il giornalismo applaudì al suo coraggio; molti diarii esteri narrarono tale episodio e pubblicarono bellissimi articoli sul genio poetico di laurea Beatrice Mancini, mentre varie accademie chiesero l’onore di scrivere il suo nome nel loro album.

Ma lo spirito irriverente, partenopeo e audace di Laura Beatrice Oliva si legge in Napoleone e Washington (1846)[3], dedicato a Napoleone nel momento del suo trapasso, sulla scia del testo di manzoniana memoria. Tale componimento, sebbene nella forma di sonetto, è una breve piece teatrale, fortemente ironica sia nei confronti della storia che della letteratura. E quale migliore arma contro il potere se non la satira?

 

Com’aquila che obblia l’usato artiglio,
Quando a’raggi del sol si volge e bea,
Di Bonaparte dall’ingrato esiglio
Lo spirto ebbro di sangue al ciel giungea.
 
Ma perchè atterra vergognoso il ciglio
Ei che imperar, solo imperar sapea?
Oh vista! oh incontro! dell’Italia al figlio
Di Washington la lieta ombra occorrea.
 
Ah! mentre immoto quei sospira e tace,
Pensa ch’ei sol regnar fe’il brando e l’ira,
E l’altro il trono suo cesse alla pace.
 
Allor di Dio la voce in suon di sdegno
Lo riscosse, e gridò: «D’Italia or mira
Chi nascer figlio era di te più degno!»
 
Genova, 1846

Napoleone qui è sminuito, deriso, descritto in modo infantile, come uno scolaretto colto in flagrante, addirittura vittima di una colpa non compresa. Napoleone viene spogliato di ogni autorevolezza e grandezza con l’arma di una critica ispirata agli ideali democratici: incapace perché «solo imperar sapea». A lui viene affiancato George Washington, come figura di contrappunto, esempio da seguire perché portatore di pace e icona di virtù.

Esilarante il finale in cui si comprende che il presidente Washington, se inizialmente appariva come strumento di salvezza per Napoleone, si trasforma poi in occasione di beffa e di derisione definitiva per quest’ultimo.

Una critica alla storia, dunque, ma anche alla letteratura innanzitutto per la scelta di porre Napoleone dinanzi a Dio il quale, contrariamente a quanto accade nell’ode manzoniana, si rivela giudice implacabile e, secondariamente, per tutti quei rimandi linguistici che echeggiano il Cinque maggio (per un’analisi più approfondita del sonetto si legga qui).

 La sfrontatezza e l’energia vitale di Laura Beatrice Oliva certamente la descrivono nel suo essere donna, indipendentemente dai ruoli di moglie, madre e patriota nei quali cercò più volte di definirsi e talvolta celebrarsi, come nella tragedia Ines de Castro, dai tratti fortemente autobiografici, composta tra il 1840 e il 1841. Il merito che le va riconosciuto è quello di aver fatto parlare di lei, di essere stata amata ed ascoltata. A Napoli, nella via che porta il suo nome, dal 1870, a un anno dalla sua morte, rimane traccia esemplare della sua personalità in un’iscrizione posta sulla casa dove abitò:

QVI NACQUE

NEL DÌ DECIMOSETTIMO DELL’ANNO 1820

MODESTA QVAL VISSE NELLA FORTUNA

LAURA BEATRICE OLIVA

SPOSA DI P.S. MANCINI

POETESSA

DELLE SVENTURE E DELLA LIBERTÀ D’ITALIA

____

MEMORIA POSTA DAGLI AMICI POLITICI

1870

Laura Beatrice Oliva oggi può continuare ad avere un valore politico per l’esempio, per la forza con la quale affrontò la sua vita e visse il cambiamento storico ma anche per l’educazione paterna ricevuta: la sua esperienza ci richiama a una riflessione sul ruolo della figura genitoriale maschile che dovrebbe educare le proprie figlie a difendersi, ad essere libere, a credere nella propria indipendenza e ad essere anche sfrontate nei confronti di un potere vuoto e spesso violento.


[1] Francesco Lo Parco, Laura Beatrice Oliva, in «Rivista d’Italia», vol. 2, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1913, p. 746.

[2] Per la relazione tra padre e figlia in Manzini si veda Chiara Pini, Gianna Manzini e Lalla Kezich: unite da una separazione, «Kepos  – Semestrale di Letteratura Italiana -», 2022, < http://www.keposrivista.it/wp-content/uploads/2022/06/12_Pini.pdf>

[3] Per un approfondimento si rimanda a Chiara Pini, Napoleone e Washington: sonetto di Laura Beatrice Oliva, «Kepos – Semestrale di Letteratura Italiana», 2021, < http://www.keposrivista.it/wp-content/uploads/2021/10/07_Pini_def.pdf>

 

Fonti bibliografiche

Alla memoria di Laura Oliva Mancini. Tributo di affetto degli amici di Napoli, Napoli, Tipografia di Angelo Trani, 1869.

Valeria Guarna, Oliva, Laura Beatrice Fortunata, in «Treccani Enciclopedia online», < https://www.treccani.it/enciclopedia/laura-beatrice-fortunata-oliva_(Dizionario-Biografico)/>.

Francesco Lo Parco, Laura Beatrice Oliva, in Rivista d’Italia, vol. 2, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1913.

Luigi Nuzzo, Mancini, Pasquale Stanislao, in «Treccani Enciclopedia online», < https://www.treccani.it/enciclopedia/pasquale-stanislao-mancini_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Diritto%29/>.

Laura Beatrice Mancini Oliva, Patria ed Amore, Canti, Torino, Tipografia Eredi Botta, 1861.

Chiara Pini, Napoleone e Washington: sonetto di Laura Beatrice Oliva, «Kepos – Semestrale di Letteratura Italiana», 2021, < http://www.keposrivista.it/wp-content/uploads/2021/10/07_Pini_def.pdf>

Whitney Stoker, Laura Beatrice Oliva-Mancini: Moglie, Madre, Poetessa, Thesis, Italian Studies, College of liberal Arts, 2011, Retrieved from the University of Minnesota Digital Conservancy https://hdl.handle.net/11299/109461.


© Chiara Pini

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