Amalia Guglielminetti, La rivincita del maschio

di Clelia Lombardo

Cover PhCredit Clelia Lombardo

A guardarne l’esile figura ritratta da Mario Reviglione nel 1912, Amalia Guglielminetti emana fascino e mistero. Sinuosa, dai tratti aristocratici, con preziosità nell’abbigliamento, lo sguardo penetrante e lontano, quel segno enigmatico che la rese bella e desiderabile ma sola. Ché forse faceva paura, che forse il proprio desiderio di autonomia poco si adattava alla morale dell’epoca. Fatto sta che in molti dei suoi versi ritroviamo quel suo “vado sola” come nella raccolta Le seduzioni (1909):

Colei che ha gli occhi aperti ad ogni luce
e comprende ogni grazia di parola
vive di tutto ciò che la seduce.
Io vado attenta, perché vado sola,
e il mio sogno che sa goder di tutto
se sono un poco triste mi consola.

In succo io ho spremuto ogni buon frutto,
ma non mi volli saziare e ancora
nessun mio desiderio andò distrutto.
Perciò, pronta al fervor, l’anima adora
per la sua gioia, senza attender doni,
e, come un razzo in ciel notturno, ogni ora
mi sboccia un riso di seduzioni.

Nata a Torino il 4 aprile 1881 rimane orfana di padre, un piccolo industriale, quando aveva solo cinque anni. Insieme alla madre e agli altri tre fratelli, Ernesto, Emma e Erminia si trasferisce a casa del nonno paterno, uomo legato ai valori tradizionali e a un cattolicesimo radicale, motivo per il quale l’istruzione della piccola Amalia viene affidata a istituti di stretta osservanza cattolica. Ne rimane traccia nella raccolta di poesie Le vergini folli (1907) a cui seguono le raccolte Le seduzioni (1909) e L’insonne (1913)  che ne decretano fama e successo. Considerata da d’Annunzio “l’unica poetessa che abbia oggi l’Italia” e da Dino Mantovani “un incrocio tra Gaspara Stampa e Saffo”, amica di Ada Negri, vive a Torino che nel primo decennio del Novecento era città culturalmente vivace e luogo di emancipazione femminile.

Nell’intervista immaginaria in Donne e poesia (Marsilio 1992), Maria Luisa Spaziani così fa rispondere all’intervistatore che chiede: Come si è svolta, cara Amalia Guglielminetti, la sua prima educazione torinese?

Amalia: Nel modo più torinese possibile, appunto. Ha un’idea di che cosa fosse Torino alla fine dell’Ottocento? Fermenti vari e di tutto rispetto c’erano, non posso negarlo. I fremiti della grande industria nascente, la presenza ideale della monarchia, sia pure con i riti dell’assenza, la nobiltà che aveva la fierezza e la responsabilità di rappresentarla, l’orgoglio generalizzato di aver fatto l’Italia… la presenza di banchieri e mecenati, i primi sogni e le prime smanie per il cinema, il faro nazionale del giornale La Stampa.

Intervistatore: Tutto questo contrapposto…

Amalia: Sì, contrapposto a un fondo incredibilmente retrivo, bigotto, benpensante, dove la beneficenza o meglio la carità erano i soli interessi, la sola attività che permettesse di superare le austere pareti di casa…

Inquieta, insofferente a schemi e convenzioni, Amalia Guglielminetti incarna il personaggio di femme fatale, ardita nei versi viene apprezzata anche da Guido Gozzano con cui vive una tormentata storia d’amore, di slanci e richieste da parte di lei, aridità sentimentale e fughe di lui. L’intenso scambio epistolare intercorso tra i due dall’aprile 1907 alla fine del 1910, con una piccola ripresa dopo il 1912, è stato ripubblicato da Quodlibet nel 2019.                                                                                                                                                              

Amalia Guglielminetti non si sposa né ha figli, i tormenti d’amore sbagliato la intrappolano nuovamente con Dino Segre, in arte Pitigrilli, scrittore allora molto conosciuto e di cui negli anni venti diventa l’amante. La loro relazione, consumata poi con una serie di articoli denigratori che reciprocamente si scambiano sulle rispettive testate giornalistiche, Le Seduzioni e Le Grandi Firme, finisce in tribunale tra denunce e querele. La Guglielminetti, accusata di diffamazione e di aver falsificato alcune lettere di Pitigrilli, informatore OVRA (opera vigilanza repressione antifascismo), nel tentativo di farlo passare per antifascista è condannata a quattro mesi di reclusione. Viene assolta solo perché le riconoscono l’infermità mentale transitoria ma la sua fama ne rimane fortemente compromessa.

Intanto lei scriveva per il teatro, fiabe, novelle e il romanzo, La rivincita del maschio, che suscita scandalo, per il quale torna in tribunale con l’accusa di oltraggio al pubblico pudore e che le costerà un processo.

Come ha osservato Maria Vittoria Vittori nel Ritratto di Amalia scrittrice che introduce la recente e raffinata edizione del 2022 del romanzo ripubblicato da 8tto Edizioni, … in ogni donna desiderante e passionale molti critici del tempo hanno visto lei, e soltanto lei… ha pagato lo scotto di questa indebita confusione tra vita privata e creazione artistica: e si può notare come questo processo sia stato attuato nei confronti di autrici che non rientravano nelle categorie sociali allora codificate, quelle di moglie… e di madre, che vivevano del loro lavoro di giornaliste e scrittrici, e vivevano liberamente le loro relazioni amorose.

Apparso a puntate sulla rivista Il Secolo Illustrato tra il 1920 e il 1921, con il titolo Il morso della viperetta, l’opera, riveduta e ampliata, viene pubblicata da Lattes nel 1923. Al centro della vicenda che si snoda tra Torino e la riviera ligure, il barone Ugo di sant’Agabio che, sebbene laureato in ingegneria, è uomo ostinatamente impegnato a trascorrere i suoi giorni e le sue notti nel piacere e nei vizi, primo fra tutti il gioco. Si muovono intorno a lui quattro donne, ognuna molto diversa dall’altra, ognuna ben delineata e descritta in relazione a famiglia, amici, adulatori, impresari, mariti e amanti che appaiono in un teatro-realtà che ci restituisce un particolare ambiente sociale del primo dopoguerra.  

Reré Lajoie, canzonettista di cabaret, è la prima a comparire in un caffè torinese dove Ugo la nota. Vi sedeva una figuretta di giovane donna, vestita di scuro con una certa bizzarra eleganza ultramoderna, china a suggere una bibita rossa e ghiacciata da una lunga cannuccia di paglia. Il viso non gli appariva così che di scorcio, dall’alto al basso, sotto un piccolo cappello di piuma nera guarnito ai lati, come l’elmo di Mercurio, di due alette aperte… Il resto della persona agile e aggraziata si perdeva in un’ombra opaca di velluti, su cui splendeva qua e là un discreto sfolgorio o un rapido baleno, come il lampeggiare d’un grande anello d’onice nera all’indice della destra, il luccicare di qualche armilla al polso della sinistra sotto il guanto arrovesciato, o splendore velato di una fibbia in giada d’argento, al disopra di un piedino irrequieta e al disotto d’una snellissima caviglia inguainata di seta sottile.

Nel romanzo, l’abilità descrittiva di abbigliamento, oggetti, ambienti, suppellettili, movimenti del corpo immortalati come da una curiosa e sapiente macchina da presa sono di raro pregio, al pari delle passioni dei personaggi trascinano e ammaliano in atmosfere conturbanti a tratti visionarie. È possibile ritrovare nei dettagli e nelle sfumature che delineano ogni personaggio una scelta narrativa che fa di quest’opera una risorsa preziosa per chi voglia scandagliare i costumi di un periodo della Storia d’Italia che ha visto profonde trasformazioni e vere e proprie rivoluzioni del costume.

Nel piccolo cappello di Reré che richiama le ali di Mercurio c’è la volubilità, la lungimiranza della donna che si trasforma da artefice di seduzione a messaggera di un colpo basso che cambierà la vita di Ugo. Donna scaltra, conturbante per proprio vantaggio, che fa della sua arte istrionica un modo per sopravvivere e muoversi nell’agiatezza, che deliberatamente non si fa mettere da parte.

Bianca Moresi, invece, viene descritta come una dea sicura della propria bellezza inarrivabile. Sposata al sessantacinquenne Marco Moresi, uno degli uomini più influenti del Mezzogiorno, era una delle più belle donne d’Italia nonostante i quarant’anni molto passati, di fama europea, famosa per i suoi amanti e le avventure sentimentali, dominatrice nei salotti, evita accuratamente la compagnia di signore che possano nuocere esteticamente al suo primato.

Tutte le signore dell’Hotel Calipso, anche quelle cui il fumo dava la nausea o la tosse, fumavano senza tregua, perché così la moda esigeva… Ma donna Bianca Moresi fumava correttamente in un atteggiamento di maestà serena, seduta sul gradino più elevato della scala marmorea, come voleva la sua dignità di gran dama, collocata molto in alto sulla metaforica scala della società contemporanea, e la circondavano due signore e tre uomini sdraiati ai suoi piedi, come schiavi intorno alla regina.

Nora Bonis è giovanissima e appena tornata dal collegio, dove il proprio corpo è stato preparato al desiderio dalla compagna Elsa, quando si innamora di Ugo che a sua volta rimane turbato da quella sua vivace spontaneità puerile, con quei grandi occhi metallici, sempre spalancati e interrogativi… Ugo, che a distanza di anni, fallito il sogno del conveniente matrimonio con Nora a causa del colpo basso sferzato da Reré, tornato dopo otto anni dall’America dove ha fatto fortuna, a una festa dice: Tutta la così detta sublimità dell’amore nasconde un unico scopo: quello di soddisfare un bisogno fisico, e qualsiasi maschio o qualsiasi femmina abbastanza giovane e abbastanza piacevole, può servire egregiamente a questo semplicissimo scopo…

Nora, invece, ha vissuto nel delirio senza tregua per questo amore non ancora consumato che l’ha macerata, spolpata di sé, condotta all’assenza di qualunque serenità. Nora, che lo incontra nuovamente quando lui torna da New York  e lo ritrova più cinico che mai ma lo adora come si può adorare l’unico immenso sogno di felicità.

Indossò da sola, con nervosa rapidità di gesti, il suo abito di crespo bleu-Saxe, sorretto alle spalle da due tenui fili di perle e circondato alla scollatura ampia da una coroncina di pallide rose théa… Stese sulle gote una sfumatura rosea, lieve e trasparente come la tinta dei peschi in fiore, inazzurrò le palpebre, sottolineò lo sguardo, accese le labbra d’intenso vermiglio e passò sulla pastosa soavità delle spalle e del seno la carezza quasi lasciva del piumino di cigno che vi depose uno strato di polvere bionda vellutata aderente, olezzante d’epidermide giovine e corolle macerate.

Corolle macerate sono i suoi sensi, le sue notti insonni, il suo ininterrotto, ossessivo desiderio mentre lui a bordo di una spyder grigia si destreggia tra le sue amanti Bianca e Myra. Lui, maschio, di una crudeltà che la schiaccia e la rende simile a Madame de Tourvel in Le relazioni pericolose.

Myra Scauri, la quarta donna, èdanzatrice alla moda, esperta di danze classiche moderne ed estetiche, consapevole del proprio corpo, passava altera e noncurante, drappeggiata nelle sue clamidi di seta chiara, che parevano coprire l’epidermide ignuda, esponendo a capo scoperto le sue chiome color mogano, corte e lucenti, a riparo di qualche curioso ombrellino policromo, dal manico istoriato o di giada costellata, ch’era sempre un gioiello d’arte e d’originalità…  Parlavano tutti delle eccentricità di questa donna, per cui le danze non erano che un luminoso richiamo per offrire se stessa durante qualche ora o qualche giorno di costoso piacere a uomini ricchi annoiati e desiderosi. È donna moderna, in viaggio, si accompagna al piccolo servo guatemalteco e al levriero russo Zorò flessuoso come lei. Non si illude anche se sarebbe disposta a fermarsi per Ugo che, ovviamente, la dissuade.                                                                 

Dalla sera in cui Ugo di sant’Agabio incontra Reré Lajoie e con lei va in una bisca clandestina e vince una cifra esorbitante che permetterà loro di trasferirsi sulla costiera ligure per vivere la loro passeggera esistenza di piccoli milionari improvvisati alla fine del romanzo, si assiste a un via vai di personaggi tra ville, alberghi, Casino, giardini, in un mondo complesso, cosmopolita, in divenire, che conosce la teoria darwiniana, gli impulsi del Futurismo, Guglielmo Marconi, il veleno della critica letteraria, la moda parigina, i pettegolezzi e gli inganni.

Sono ritratti mirabili quello dell’americana giocatrice fino all’alba Glady Zabria vestita di giallo-ocra e nera; o della marchesa Mitsoukò avvezza ai grandi viaggi in mare; o della Rodinaiche si sventolava con un largo ventaglio da teatro, di piume nere e tartaruga bionda, che nel suo provinciale concetto d’eleganza ella riteneva raffinatissimo esposto così in pieno giorno, che si muovono tra i benpensanti che vigilano sull’onore delle figlie anche per condurle a teatro, Non sempre il repertorio di Dina Galli è adatto per giovani signorine. E si rimane spiazzati di fronte agli uomini spesso mariti inadeguati, lontani per affari, o rapaci di femmine le quali desiderano, più o meno consapevolmente, una nuova libertà di scelta agita anche nel sesso.

Ma il corpo della donna è ancora una volta terreno di conquista per il maschio che non sa misurarsi con il cambiamento e ritiene di possedere il diritto alla rivincita, sempre e comunque. In questo romanzo Amalia Guglielminetti stupisce per l’estrema modernità, per l’amarezza e l’ironia che innerva una scrittura variegata, meticolosa, multiforme nello svelamento di comportamenti mossi da ragioni nascoste e inconffessabili. Per l’abilità nel costruire un paesaggio umano e sociale fino all’estremo colpo di scena finale.

Non c’è da stupirsi che l’opera abbia avuto un grande successo ma che sia stata censurata.

Del resto, carattere e stile di scrittura sono condensate in un’affermazione della stessa Guglielminetti: «Chi mi conosce sa ch’io sono scontrosa come un’ortica e che le mie temerità non sono fatte che di parole scritte»

Gli anni che seguirono non furono fecondi, nel 1935 la scrittrice si trasferisce a Roma per dedicarsi al giornalismo ma non ebbe il riconoscimento sperato. Nel 1937 ritorna quindi a Torino dove trascorre in solitudine gli anni seguenti fino al 4 dicembre 1941, giorno in cui muore per una setticemia causata da una ferita procuratasi cadendo dalle scale nel tentativo di riparare in un rifugio antiaereo.

È stata sepolta nel Cimitero monumentale di Torino. Avrebbe voluto che sulla sua tomba a piramide ci fosse l’iscrizione “Essa è pur sempre quella che va da sola”.

Bibliografia breve

Amalia Guglielminetti, La rivincita del maschio, 8ttoedizioni, 2022.

Silvio Raffo, Lady Medusa. Vita, poesia e amori di Amalia Guglielminetti, Bietti Editore, 2012.

Maria Luisa Spaziani, Donne in poesia, Marsilio editore, 1992.                                                                                       

Guido Gozzano, Amalia Guglielminetti, Lettere d’amore, Quodlibet, 2019.

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